mercoledì 23 marzo 2016

SORELLA MORTE



E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
L’immagine che meglio rappresenta ciò che in questo momento mi attraversa la mente è quella di un bambino che, incerto e malsicuro, tenta di muovere i primi passi alla scoperta del mondo che lo circonda.

La voglia di esplorare è tanta ma l’equilibrio ancora precario, al punto che la mano della mamma o del papà costituiscono una sicurezza, un punto di riferimento certo al quale aggrapparsi.

E quante volte, pure, succede che il bambino cada ma qualcuno è lì pronto a rimetterlo in piedi e a consolarlo!

La nostra vita, intesa come percorso di esplorazione, di scoperta e di consapevolezza inizia proprio così e, da quel momento in poi, numerosi sono i momenti in cui la tentazione di aggrapparci a qualcosa o a qualcuno ci trattiene dall’intraprendere nuove esperienze.

Come il bambino sperimenta il trauma da distacco quando, molto piccolo, non vede l’immagine della mamma o quando teme di abbandonare la mano che lo sorregge e lo conforta, allo stesso modo, da adulti, facciamo fatica ad abbandonare vecchie abitudini e situazioni oramai esaurite, non più in grado di alimentarci con nuova linfa.

Viviamo il DISTACCO come un ABBANDONO, come destino ineluttabile che ci allontana da qualcosa o da qualcuno e ci priva della sua presenza consolatoria, come una punizione.
D’altra parte, perché non sentirci autorizzati a provare ciò, se anche Gesù Cristo proferì queste parole al termine della sua esperienza umana? “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”? -Matteo 27:46-

La tentazione del lasciarsi vivere è sempre molto forte, meno impegnativa, una sensazione “tiepida” che ci rende spettatori o, al più, attori diligenti che recitano una parte.
Ma la sofferenza è inevitabile e il suo culmine ci coglie inevitabilmente nel momento del distacco più doloroso, un momento dinanzi al quale ci troviamo quasi sempre impreparati e inadeguati: la morte.

Nonostante i progressi scientifici e gli innumerevoli tentativi di esorcizzare l’istante in cui la mano della Parca Atropo reciderà il nostro stame o quello di chi ci è caro, essa procura in noi un profondo turbamento. Certo può sembrare persino banale continuare a ripetere che si inizia a morire nel medesimo istante in cui si nasce, una retorica che rende bene l’idea, ma con la quale evitiamo accuratamente di confrontarci. Eppure è così ovvio!

Gli animali la accettano semplicemente, mentre gli esseri umani -la cui intelligenza ha consentito di esplorare gli ambiti più reconditi dell’universo- la rifiutano, la negano, la subiscono. 

Lo stringevo tra le braccia come un bimbetto, eppure mi sembrava che scivolasse verticalmente in un abisso, senza che io potessi fare nulla per trattenerlo… Mi sentii gelare di nuovo per il sentimento dell’irreparabile. E capii che non potevo sopportare l’idea di non sentire più quel riso.* 

Dunque la morte è inevitabile e forse proprio il nostro sentimento di onnipotenza ci fa sentire tanto inadeguati e ABBANDONATI a un ingiusto destino.

Forse ciò che ci turba maggiormente è l’ignoto che ci attende, per lo meno quando si tratta della nostra morte? O forse l’immenso dolore con il quale dobbiamo misurarci quando si tratta della morte di un nostro caro? O forse continuare a pensare al “dopo” è semplicemente un’abile mossa per differire e procrastinare la necessità di vivere nel qui e ora?

Sono in molti coloro che confondono l’esistere biologico con il vivere inteso come somma di esperienze e non come somma di perdite.

Si può vivere pensando di aver perso l’occasione giusta, di aver perso gli anni migliori, di aver perso tempo, di aver perso la giovinezza …. E gli esempi potrebbero continuare all’infinito.

Ma si può anche vivere pensando di essere i protagonisti di momenti di gioia immensa e di dolore intenso che renderanno il nostro percorso significativo e gratificante per il solo fatto di averlo VISSUTO.

Il timore della perdita e del distacco nascondono spesso la paura di vivere. E come potremmo non avere paura di morire se il vivere stesso ci fa provare questo sentimento? 

Gli uomini hanno delle stelle che non sono le stesse. Per gli uni, quelli che viaggiano, le stelle sono delle guide. Per altri non sono che delle piccole luci. Per altri, che sono dei sapienti, sono dei problemi… Tu, tu avrai delle stelle come nessuno ha …
Quando guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere! * 

Il segreto della morte è vivere!

Monica Ramazzina

* Tratto da “Il Piccolo Principe”, A. De Saint-Exupéry, Ed.Tascabili Bompiani

mercoledì 9 marzo 2016

L'IMPEGNO... COSA RARA

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose


L'IMPEGNO …  COSA RARA

Come è difficile fare ordine nella mente fra le mille cose che vorrei dire ... mi piacerebbe confrontarmi su un tema che sento a me caro: l'impegno. Anacronistico? Forse. Almeno così può sembrare osservando quanto poco spazio esso abbia nella nostra vita un po' superficiale: non è certo la prima cosa che si nota se osserviamo il vivere quotidiano. 

Quanto è faticoso 'impegnarsi', scegliere in modo autonomo e responsabile di fare qualcosa con tutte le proprie forze: sì, perché la parola impegno significa letteralmente “dare in garanzia”, nel nostro caso garantire a noi stessi e agli altri con cui condividiamo un'attività o un obiettivo, la nostra presenza, la nostra fatica, in poche parole il nostro esserCi con il corpo e possibilmente con  il cuore e la mente. Non semplice partecipazione, anche se già è così difficile alzarci dalla poltrona per fare qualcosa insieme agli altri, ma anche uso di volontà, voglia, per realizzare qualcosa: di bello, di utile? magari, questo è un passo ulteriore certo, ma non il primo.

Mi è spesso capitato in questi ultimi tempi di vedere persone, che pure hanno mille difficoltà a vivere il quotidiano, fare sforzi per essere partecipi, presenti, anche solo per trenta minuti, pur di portare avanti un impegno preso e anzi considerare tutto ciò la cosa più utile della loro giornata. Da ammirare certo a fronte di chi, e noi tutti siamo compresi, trova mille scuse per non fare, per passare la mano, per farsi da parte o peggio per chiamarsi fuori dopo avere assicurato la propria partecipazione. 

Il tutto condito dal giornaliero e continuo stillicidio di svalorizzazione fatto a danno delle piccole realtà vive che vedono l'incessante impegno di chi, con caparbietà, continua a faticare: quanto fa male e quanto è destabilizzante, non solo per chi convive con la grande sofferenza mentale, ma per ciascuno di noi cosiddetti sani. E poi,  in questo momento di crisi nel mondo del lavoro, quanto ferisce profondamente il sentire che il proprio desiderio di impegnarsi per guadagnarsi il pane quotidiano non è importante, non vale; o ancora, sentire che se vuoi puoi lavorare, ma gratuitamente, senza cioè che venga riconosciuto un valore, anche economico, alla tua professionalità e al tuo impegno!

Tutto ciò non accade solo in ambito lavorativo: mi ha colpito molto che il 21 marzo 2009 si sia svolta la giornata nazionale per l'IMPEGNO contro la mafia a Napoli con 150.000 persone, a sottolineare che impegnarsi non significa presenziare un giorno all'anno ad una manifestazione – quanto è di moda limitarsi solo a questo – ma testimoniare e condividere la presenza quotidiana in mille attività concrete a sostegno della libertà e della moralità. Non a caso la giornata aveva come titolo “L'etica libera la bellezza”: i grandi eventi sono belli, certo, ma rischiano di rimanere cattedrali nel deserto se non sono seguiti da una cascata limpida e fresca di gesti quotidiani che ne rinnovino il potere rigenerante. 

Questo è IMPEGNO: riempire le parole e le azioni di significato e non farlo una volta per tutte, ma farlo di nuovo nella fatica del giorno per giorno.

Mi vengono in mente le parole di un piccolo canto semplice che dicono:

......Noi dividiamo questo mondo insieme a voi
fateci partecipare, fateci provare
noi siamo sale della terra, siamo luce...

Forse il segreto è proprio questo: affermare la voglia di essere presenti e di partecipare dal vivo, non solo in un mondo televisivo, dentro tanti reality così poco reali, ma soprattutto incontrare sulla propria strada qualcuno che ti permetta e ti sproni a fare, a esserCi veramente in prima persona, tenendo gli occhi spalancati sul mondo e sulle persone, per dare sapore e luce alla nostra vita e a chi vive accanto a noi. 

Forse non ci serve altro che la voglia di essere parte di un progetto, di farci noi stessi progetto, di non lasciarsi scorrere la vita addosso, salvo poi covare dentro di noi una rabbia che si veste di tristezza e di malinconia. 

Abbiamo “solo” bisogno di voler bene a noi stessi in modo autentico e profondo, di fare la stessa cosa nei confronti degli altri e, in fin dei conti, della vita.


Elena Iorio