martedì 25 settembre 2018


Care amiche e cari amici,

suppongo di non dovervi precisare perché ho aggiunto una bandiera europea a quella già presente nella mail. Al di là del nostro piccolo operare quotidiano di Cura e Cultura,  non ho altro modo per esprimere la mia distanza da coloro che parlano NON in nome nostro, ma ahimè invece, dicono proprio di parlare in nome nostro! E talvolta ci invitano addirittura con becera ironia a essere COMPLICI! Un linguaggio brutale si congiunge oscenamente a una stoltamente fatua incompetenza o malafede: tutto ciò mi procura nausea e disgusto, e seria preoccupazione per il mondo in cui dovrà crescere la piccola Adele. I sondaggi dicono che sei su dieci di noi si riconoscono in questa pericolosa mescolanza di bullismo e sfacciata incompetenza. Ben scarsa consolazione è sapere che questo vento di follia percorre tutta l’Europa, e non solo.

Un solo pensiero profondo mi invita tuttavia a essere paziente e a sperare: quella di Europa è stata, ed è ancora, una grande idea, grande e nobile, nata da uomini che vissero e videro con i loro occhi gli immani disastri e orrori avvenuti in quei trent’anni, dal 1914 al 1945, anni che alcuni considerarono, non a torto, una sola gigantesca guerra civile europea. Quegli uomini videro gli effetti di quella mostruosità e giurarono che non si sarebbe ripetuta perché quella terra di odi e di conflitti inenarrabili sarebbe con il tempo e la pazienza diventata una sola. Un’idea grande e nobile, questa era ed è ancora, quella di Europa. Thomas Mann scriveva nel 1954, nella prefazione a Lettere di condannati a morte della resistenza europea: “non c’è stata idea per cui gli uomini abbiano combattuto e sofferto con cuore puro, e abbiano dato la vita, che sia andata distrutta. Non c’è idea che non sia stata realizzata, a costo di contrarre tutte le macchie della realtà, ma acquistando la vita.”.

Oggi si erigono muri, quando un tempo si gioiva perché essi venivano meno. Ricordo ancora la festa, la gioia e la speranza per la fine del muro di Berlino! Oggi il terribile crollo del ponte di Genova sembra invece un sinistro avviso, un’oscura minaccia di quanto ci può accadere se ci ostiniamo in questo becero particolarismo, se perdiamo del tutto il senso del Noi Europa.  

Altri dicono meglio di me: “E parlo di amore, perché l’amore è la forza più potente che c’è … Io sono convinto che, nonostante la loro grande forza, il male e l’odio siano meno forti del bene e dell’amore, perché solo il bene e l’amore sono capaci di costruire, di dare energia positiva, di infondere vita e di durare. Non sottovaluto la forza dell’odio, ma sostengo che si tratta di una forza seconda, che può solo distruggere, mai costruire, solo abbattere, mai edificare, e che per esistere ha bisogno di indirizzarsi contro la forza primigenia e fondamentale dell’amore, l’unica che sappia costruire ed edificare. L’odio c’è, agisce, a volte vince, ma è comunque sempre secondario, parassitario, si regge sul lavoro altrui in quanto intende negarlo; l’amore invece è primario, creativo, sorgivo, non ha bisogno di nulla per esserci, nasce da sé, spontaneamente. La differenza qualitativa fra la forza dell’amore e quella dell’odio è analoga a quella tra un bambino che in riva al mare costruisce castelli di sabbia e un bambino invidioso che glieli sa solo distruggere: il primo esiste e lavora per sé, il secondo ha senso solo in funzione dell’altro” (da Il bisogno di pensare, di Vito Mancuso, Garzanti 2017 – leggetelo, per favore)

Oltre all’allegato, vi lascio anche i seguenti riferimenti sulla rete, che non ospita solo rigurgiti di odio e di violenza:


Ho firmato la petizione "Vogliamo la verità sulla morte di Stefano Cucchi, chi sa parli" e vi chiedo di aggiungere il vostro nome al seguente indirizzo  https://chn.ge/2pem6C2 , e anche a quest’altro https://chn.ge/2OE2W3A , relativo alla proposta di legge per l'ampliamento del regime della legittima difesa.

Giorgio Moschetti

giovedì 6 settembre 2018

LETTERA DI UNA PROFESSORESSA. "Intellettuali di tutto il mondo unitevi, contro la deriva pericolosa del populismo e della miseria"

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Pubblichiamo la lettera di una professoressa, Antonella Botti, che esprime preoccupazione per la piega odierna del dibattito politico.


Non ho vissuto l'età dei totalitarismi, l'età della morte del pensiero critico ma oggi più che mai posso considerare quanto sia pericoloso il sonno della ragione. Nell'età del ritorno dei Malvolio di montaliana memoria un semplice prendere le distanze non può bastare, non è più possibile una "fuga immobile" anzi può rappresentare una scelta immorale, un disimpegno colpevole. Oggi non è più tempo di tacere, è tempo di prendere una posizione perché ogni esitazione potrebbe mettere a rischio le grandi conquiste culturali del secondo dopoguerra. La cooperazione internazionale, la democrazia, l'integrazione, la tolleranza non possono essere valori negoziabili.

Quello che maggiormente preoccupa non è il ristretto e circoscritto disegno politico di Salvini ma la constatazione dei consensi numerosi che colleziona, non è di Di Maio che mi preoccupa e del suo serbatoio di voti "protestanti", ma la constatazione che la protesta sinistroide abbia consegnato il paese ad una destra becera e livida e che una larga fetta anche di intellettuali non si sia resa ancora conto che si è prostituita alla peggiore delle destre, non a quella progressista e europeista, ma alla destra razzista e violenta di Salvini. Ad una destra incapace di cogliere i segni del tempo, incapace di progettare un mondo di uomini in grado di vivere insieme pacificamente nella consapevolezza che ogni vero progresso raggiunge la sua pienezza col contributo di molti e con l'inclusione di tutti, seguendo l'insegnamento terenziano alla base della nostra cultura occidentale: "Homo sum humani nihil a me alienum puto".

Appartengo al mondo della formazione, sto, pertanto, in trincea a contatto con una generazione vivace, intelligente, elettronica e "veloce" che "vivendo in burrasca" rischia di precipitare nel baratro dell'indifferenza o, nella peggiore delle ipotesi, dell'intolleranza, dell'aggressività pericolosa e ignorante.

Questi stessi giovani, invece, meritano di essere salvati, meritano una cultura in grado di coniugare pathos e logos, una cultura che percepisca l'uomo come fine e non come mezzo, che consideri l'"altro da sé" una risorsa importante giammai una minaccia.

Nell'età delle interconnessioni non c'è niente di più assurdamente anacronistico dei muri e dei silenzi colpevoli. È solo nelle DIVERSITÀ che si può cogliere il vero senso della BELLEZZA e l'essenza di un impegno costruttivo che non è mai discriminante ma sempre inclusivo, totalizzante e interdipendente.

Non è neanche questione di destra o di sinistra, di rosso o nero ma il problema è, soprattutto, di carattere culturale. La vera emergenza è quella di costruire un argine contro ogni forma di populismo, contro la xenofobia, contro i nuovi razzismi in nome di una società civile che riparta dall'UOMO, non prima dall'uomo Italiano, né come in passato prima dall'uomo della Padania, ma dall'UOMO in quanto umanità. È necessario che in ogni campo sia politico che economico, culturale e sociale non si perda mai di vista l'uomo, la sua dignità, il suo inestimabile valore e, al di là di ogni faglia e filo spinato, lo si consideri il fine ultimo di ogni progetto.

INTELLETTUALI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI, c'è molto da fare, a partire dalla formazione scolastica. Se uniti si costituirà una forza inarrestabile, la forza della cultura, la sola che possa costituire un argine autentico contro la deriva pericolosa del populismo e della miseria, principalmente di quella della mente e dello spirito.

https://www.huffingtonpost.it/2018/09/05/lettera-di-una-professoressa-intellettuali-di-tutto-il-mondo-unitevi-contro-la-deriva-pericolosa-del-populismo-e-della-miseria_a_23517315/?utm_hp_ref=it-homepage&ncid=fcbklnkithpmg00000001

mercoledì 20 giugno 2018

MUSICA E ARCHITETTURA

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose


Care amiche e cari amici,

Mi fa molto piacere, soprattutto in questi brutti giorni della “pacchia” e delle “crociere”, proporvi le parole di un italiano di cui invece possiamo tutti sentirci orgogliosi. Scrive Renzo Piano: “Potrei parlare di musica per giornate intere. È il mio grande sogno, avrei sempre voluto essere un musicista. Salvatore Accardo lo sa benissimo: siamo amici fraterni, ed è anche il padrino di Giorgio, il mio ultimo figlio. Mi disse: «Sì, sarò volentieri il padrino, ma tu promettimi di fargli ascoltare musica ogni giorno, per cinque minuti. Buona musica, non importa quale. Ma buona musica …». Così facemmo. E nostro figlio è diventato musicista. Parliamo volentieri di musica, parliamo di amicizia, di storia familiare … E di architettura. La musica è, tra le arti, la più leggera; l’architettura forse è la più pesante. La musica è leggera perché è fatta di note che si muovono, spariscono nell’aria. L’architettura invece è un battersi continuamente contro la forza di gravità. Eppure c’è una specie di invidia reciproca fra il musicista e il costruttore: una buona invidia, naturalmente.
La musica ha il suo linguaggio, ovviamente, come l’architettura, la narrativa, la pittura, il cinema. Ma tutte queste arti condividono la stessa ansia, le stesse attese, lo stesso fissare il buio con insistenza finché non si riesce a captare qualcosa, per scrivere, comporre, progettare, creare. Le connessioni con la musica sono tante. Si parte da un’ispirazione, che affonda nella realtà. E poi si crea, secondo connessioni fra la realtà stessa  e l’immaginazione, tra la forza della necessità e la poesia. La migliore architettura è quella che si aggancia molto alla realtà. Anche la musica, a suo modo.
C’era però un elemento fondamentale, che intuimmo tutti subito: non solo noi progettisti, ma anche i committenti, le persone della Pirelli (senza un buon cliente non si va da nessuna parte). Era l’idea di bellezza. Sì, la bellezza, una parola un po’ in disuso, velata da un’aura romantica, tanto che a pronunciarla ci vergogniamo quasi un po’. Ma la bellezza, quando non è cosmesi o apparenza superficiale, è un valore straordinario. E la bellezza passa anche attraverso i 400 alberi di ciliegio che attorniano la «Spina», attraverso uno spazio fatto di luce, di trasparenza, di continuità. (estratto da Costruire è condividere i valori, di Renzo Piano, la Domenica del Sole24 ore, 20 maggio 2018)

La «Spina» cui accenna Renzo Piano è una sua recentissima realizzazione nello stabilimento digitale Pirelli di Settimo Torinese.
Possiamo – osiamo! – chiosare le sempre belle parole di Renzo Piano aggiungendo che se, come lui dice, l’architettura è un battersi continuo contro la forza di gravità, con lei, con la forza di gravità la musica vive un dialogo continuo, che si canti o si suoni qualsiasi strumento. Chi fa musica sa che è fondamentale la capacità di alternare dolcemente in continuazione tensione e rilassamento: in questo consiste il dialogo con la forza di gravità, in un fiducioso abbandonarci dolcemente a lei, nelle sue braccia, per subito rialzarci e disegnare la nostra presenza in una piccola parziale vittoria su di lei, subito pronti però a lasciarci nuovamente accogliere dal suo abbraccio, da cui ci risolleveremo nuovamente sorridendo e così via.
Così è stato quando Dolce Mente si è prodotto in concerto, ci pare felicemente, ad Agliè nella chiesa di Santa Marta il 19 maggio scorso. Il concerto avrebbe dovuto tenersi nel bellissimo giardino di quella che fu la casa di Guido Gozzano, il Meleto, così ricca di memorie e di poesia. Ma il maltempo ha disposto diversamente e Dolce Mente ha dialogato con la forza di gravità nella bella chiesa di Santa Marta, grazie anche all’impegno di Monica Ramazzina, organizzatrice dell’evento.


In occasione della prossima dichiarazione dei redditi, vi ricordo la possibilità di destinare a Cura e Cultura il vostro 5 x1000. È sufficiente indicare il codice fiscale dell’associazione: 93032700010. L’avete fatto dal 2015 e finalmente quest’anno abbiamo potuto avere diretta testimonianza della vostra generosità, della quale vi ringraziamo con calore e affetto. 



Giorgio Moschetti