E poi che la sua mano a la mia puose, con lieto volto, ond'io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose |
Oggigiorno frequentiamo spesso luoghi nei quali gli
individui si incrociano senza entrare in relazione, spinti dal desiderio di accelerare
le operazioni quotidiane o di giungere più rapidamente altrove. E nel mondo
attuale ci sono spazi in cui è particolarmente accentuato questo transito
veloce senza incontri. L’antropologo Marc Augè (1992) ha coniato il neologismo
“nonluogo” definendo con questo termine tutti quegli ambiti che hanno la
prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici. Fanno parte dei
nonluoghi, ad esempio, i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, gli
aereoporti, le autostrade; se ci imbattiamo in persone di nostra conoscenza in
uno degli spazi sopra menzionati, in genere ci limitiamo al saluto o ci
soffermiamo poco perché abbiamo fretta. Aggiungiamo alla velocità che ci
fagocita ogni giorno, figlia di questi tempi , anche la rabbia, il senso di impotenza
verso tutto quello che stiamo vivendo nel nostro amato Paese, e di cui la maggior
parte di noi non è responsabile, in particolar modo se il nostro dovere lo abbiamo
sempre fatto, se le tasse le abbiamo sempre pagate, se le leggi le abbiamo sempre
rispettate. Aggiungiamo tutto il disagio della eccessiva materialità che stiamo
vivendo perché spesso si sono superati i limiti, allargati i confini, spinti
dal consumo fine a sé stesso, spinti dalla moda, al “fanno tutti così”.... Ogni
giorno ci imbattiamo in molte persone, ma solo se vogliamo incontrare veramente
qualcuno, dobbiamo volerlo fare ed impegnarci a farlo, spesso dovendoci
fermare, spesso dovendo scegliere il “Kaìros”, ovvero il “tempo giusto”, nel
rispetto reciproco, nostro e dell’altro. Ma che significa “incontrare” le
persone? Ci accorgiamo dell’altra persona e la incontriamo davvero se cogliamo l’occasione
dell’incontro, raccogliamo la nostra attenzione e ci dedichiamo a quel momento di
condivisione. Durante la nostra vita, nel nostro quotidiano si ha l’occasione di
incontrare molte persone: l’incontro può diventare, per chi lo coglie e lo
accoglie, un’opportunità di crescita, un’opportunità di conoscere e incontrare
in modo autentico altre persone, e... di incontrare sé stessi. L’altro è sempre
una grande opportunità di incontrare sé stessi. Esistono incontri superficiali
che poco ricordiamo o che ci hanno lasciato tracce minime e incontri che invece
sono stati per noi fondamentali e trasformativi, nella gioia o nella
sofferenza. Nel dizionario etimologico della lingua italiana si legge che la
parola incontro deriva dal latino in e contra, col significato principale di
trovare davanti a sé qualcosa o qualcuno, per caso o deliberatamente. Andando
più a fondo del concetto e aggiungendo così valore e significato, incontrare l’altra
persona è molto di più: significa anche accoglierla, offrirle la propria
disponibilità, considerarla, ascoltarla attentamente e attivamente,
riconoscerne non solo la faccia visibile che ci presenta e che ci permette di
individuarla, ma anche quella più nascosta.
Per raggiungere l’obiettivo dell’incontro vero bisogna
rivolgere uno sguardo non superficiale, ma attento ed amorevole verso l’umano,
uno sguardo che riesca a notare i particolari, a cogliere le piccole cose e gli
impercettibili accenni rivelatori di assonanze e diversità rispetto a noi,
essendo, sempre consapevoli che quell’incontro è sicuramente occasione per
imparare, si può ricevere e si può donare. Per incontrare davvero gli altri in modo
autentico bisogna prima incontrare sé stessi. Per realizzare questo
fondamentale obiettivo è necessario volerlo: bisogna raccogliere la nostra
attenzione su noi stessi e camminare con i nostri pensieri, percorrendo luoghi
dell’anima noti e consueti e affrontando sentieri sconosciuti. La lettura di
alcuni testi di vari autori, in primis Jung, Adler, Hillman, e il raffronto tra
i loro scritti, mi hanno permesso in modo particolare di soffermarmi a
riflettere sulla mia relazione con gli altri esseri umani, su come si attua il mio
incontro con gli altri, su come mi pongo nei confronti degli altri, sul
significato della mia vita, sul mio contributo lavorativo alla società umana.
Penso che più dei libri mi abbiano arricchito le persone e l’incontro autentico
con loro. Mi ha indotto molto a riflettere su questo tema il discusso film di
Ermanno Olmi “Centochiodi”(2007), dove un giovane ma già affermato professore
di filosofia dell’Università di Bologna compie un gesto indubbiamente esagerato
ed esecrabile, inchiodando dei libri preziosi ad un pavimento in legno e poi
inscenando la sua morte per potersi allontanare e riflettere sulla sua vita, su
tutti i libri che ha studiato in solitudine e superbia: egli ritrova
l’autenticità dell’esistere intrecciando rapporti di amicizia con gente
semplice e meno istruita, mettendo a frutto ciò che ha imparato sui libri
condividendolo con gli altri, e permettendo agli altri di insegnare a lui. L’incontro
con l’altro, in quanto diverso da me, mi costringe a ricordarmi l’essenziale
del vivere, l’essenziale del rapporto con le persone. Credo che il significato
che attribuiamo all’incontro con l’altro e la partecipazione a cui dobbiamo cedere
nell’incontro reciproco ci permette di conoscere il significato della bellezza,
dell’amore e di ogni altro valore della vita. Nell’incontro autentico con
l’altro, nella trasformazione a cui si sceglie di abbandonarsi in favore
dell’altro, nella disposizione totale a essere presente e ad accogliere, è
presente l’amore, in una delle tante forme in cui si manifesta. Guardandomi
intorno, incontrando le persone, leggendo, continuo a rafforzare e confermare
il mio pensiero: l’incontro autentico con altre persone è fondamentale non solo
per il pratico vivere quotidiano, ma anche per poter compiere appieno l’opera
della vita: solamente attraverso gli altri, infatti, possiamo conoscere noi stessi,
porci domande, attribuire senso e significato ai fatti della nostra vita al
fine di trasformarli in esperienza, accoglierli, metterli a frutto per noi
stessi e per la società umana.
Elena Tosatti