mercoledì 27 gennaio 2016

LIBERTA' E VINCOLO



E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Cara lettrice, caro lettore, che significa secondo voi essere liberi? Di certo non si intende o lo stato o la condizione di chi non è prigioniero, o di chi non è vincolato, di chi non è legato da fatti o eventi ...
Provo a condividere con voi qualche riflessione in merito.
Io credo per cominciare che si possa parlare di libertà, o meglio di Persona libera, quando la Persona riesce ad esprimere se stessa in tutta la propria unicità, autenticità e irripetibilità. Sì, poiché ognuno di noi è preziosamente unico e irripetibile, e avere la possibilità di manifestare la propria autenticità e creatività in pienezza, è libertà vera.
Ma si può parlare di libertà anche quando sentiamo di avere in noi le capacità e le possibilità di compiere scelte nel quotidiano. Siamo liberi anche quando non soffriamo, non abbiamo paure, non abbiamo ansie, quando non ci sono “fantasmi” (scenari immaginari che raffigurano, in modo più o meno deformato dai processi difensivi, l‘appagamento di un desiderio inconscio) che limitano il nostro agire. Agire è certo strettamente legato a libertà: non sempre siamo liberi di compiere le azioni che desideriamo, ma sempre siamo liberi di desiderare, pensare, dare significato alle cose, alle situazioni. Non sempre e non tutti sanno riconoscere questo piccolo spazio di libertà a volte salvifico; sì, scrivo “salvifico” perché se la vita a volte ci toglie quasi tutto (ad esempio in situazione di guerre, di gravi malattie, di gravi lutti), la nostra libertà di scegliere di vivere o di ricominciare a vivere dando significato al bello del mondo intorno a noi, è una nostra libera scelta. La libertà di ognuno di noi finisce dove inizia la libertà di un‘altra Persona, è anche questo vero, ma questo significa “vedere l’altro” attraverso la sua libertà: in un rapporto autentico e pieno, in cui si riconosce la presenza dell‘altro, si pone attenzione e si riconosce la libertà dell‘altro come autentica espressione di quella Persona, prima ancora che di vincolo alla nostra libertà. La libertà dell'altro, attraverso la quale l'altro potrà offrirci la ricchezza della sua presenza, sarà uno degli elementi del mondo di cui dovremo tener conto, una delle condizioni, uno dei vincoli sulla base dei quali, nel rispetto dei quali, potremo esercitare la nostra libertà.
Perché ovviamente il mondo ci pone dei vincoli, basti pensare al contesto sociale; si comincia da piccoli, ci vengono posti i primi limiti e vincoli dell’agire sociale. Poi nel percorso scolastico la strada non è diversa, anche lì limiti e vincoli da parte di educatori ed istituzioni sociali. I genitori poi hanno l’arduo compito nel prendersi cura dei figli di rispettare il loro spazio di libertà ricordandosi che “i vostri figli non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie della fame che in se stessa ha la vita.” E ancora ricordandosi che “Voi siete gli archi da cui i figli, le vostre frecce vive, sono scoccati lontano” e “Potete custodire i loro corpi ma non le anime loro”, come scrive e insegna Gibran Kahlil Gibran. E’ certo difficile per i genitori calibrare il giusto grado di libertà da rispettare per i figli in base all’età. Lo spazio di libertà da osservare e rispettare deve essere uno spazio nel quale i figli sono in grado di scegliere; il rischio altrimenti è caricare i figli di troppa libertà che non sarebbero in grado di reggere. Se i genitori manifesteranno senso di responsabilità nelle decisioni, se sapranno decidere quando è loro compito decidere, anche i figli impareranno dalle loro azioni.
I vincoli ce li pongono poi anche molti altri contesti, sociali e lavorativi.
Il vincolo è necessario: non è sensato parlare di libertà ignorando il vincolo, la regola, la regolarità della condotta. Anche la natura è fatta di regole, di vincoli. E’ il senso di responsabilità a ricordarci che ci sono regole in noi e tra di noi, e che la libertà non può significare capriccio infantile o adolescenziale di chi vuole ignorare il resto del mondo solo a suo vantaggio. Quanti sono i vincoli! Ma tutte queste regole sociali e non sociali, ci rendono veramente meno liberi? Io credo di no, poiché non esiste libertà vera senza vincolo, senza regolarità, senza delimitazioni precise entro cui scegliere: tale genere di libertà diventa solo capriccio velleitario e distruttivo. Anche ogni atto considerato creativo, di un artista, di un progettista, di uno scrittore, si delinea entro certe regole che costituiscono la base della costruzione creativa. Creare (o per meglio dire costruire) il nuovo impone comunque la conoscenza delle regole sottostanti, magari da superare o da confutare, ma forzatamente da conoscere per poter liberamente esprimere “il nuovo” con adeguata fondatezza.
Elena Tosatti

giovedì 14 gennaio 2016

DAL SILENZIO ALLA VOCE


E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Immediatamente, appena veniamo al mondo, gridiamo con la voce, o meglio con il pianto, la nostra presenza. Fin dall'inizio dunque la voce rappresenta il modo più semplice ed immediato, ma a volte molto complicato, per esprimere noi stessi e i nostri bisogni. Iniziamo a farlo attraverso il pianto fino a imparare a modulare la nostra voce e a differenziarla in base a ciò che vogliamo o dobbiamo esprimere: gioia, dolore, stupore, angoscia. La voce parlata si delinea e già esprime assai prima di apprendere qualsiasi articolazione pertinente al 
linguaggio; essa origina nella primissima infanzia sotto forma di imitazione di ciò che sentiamo intorno a noi. Pensiamo a tal proposito a quanto è importante per il neonato la voce della madre, che riconosce immediatamente in mezzo a molte. Essa rappresenta per lui non solo la sicurezza della presenza di lei ma anche addirittura dell'esistenza di lui stesso, è nel risuonare della voce materna che lui si accorge del proprio esserci, essa quasi lo fa venire al mondo, e grazie ad essa egli riuscirà ad organizzarsi e ad esprimersi in futuro. 
La voce ci serve per comunicare con gli altri, lascia tracce di noi stessi, lancia segnali, richiami, esprime i nostri desideri, ci fa stabilire un contatto con gli altri. Attraverso di essa ci apriamo agli altri, mostriamo noi stessi, lasciamo trapelare molti aspetti che l'ascoltatore, purché attento, potrà cogliere. Quante volte fingiamo di essere felici o indifferenti di fronte ad un avvenimento ma la voce ci tradisce, ovvero fa trasparire ciò che forse vorremmo nascondere e non ammettere agli altri e nemmeno a noi stessi. La voce esprime fedelmente la nostra presenza e rispecchia le nostre lesioni più profonde, ci rivela agli altri nella nostra totalità, ci mostra nudi al mondo. Essa può sedurre, incutere paura, sfogare il dolore, la gioia, essa è una cosa sola con il nostro Essere Umani. 
Oltre a permetterci di relazionarci con gli altri, la voce ci relaziona con noi stessi, è strettamente legata al nostro corpo da cui è generata e a cui ritorna come eco. Essa è, infatti, sentita dagli altri nel suo prodursi ed è sentita da noi sia attraverso le trombe di Eustachio sia dall'esterno, sicché il produrla è sempre controllato e modificato alla luce del sentirla. La voce e il respiro sono strettamente collegati, essa non può prescindere dall'aria; e la respirazione è il nostro scambio più immediato con il mondo. La voce è flatus, respiro, soffio vitale, testimonianza di una presenza, della vita; essa si sente, è il dentro fuori di noi, chiave psicologica della conoscenza dell'interiorità. Essa è affermazione dell'identità di ognuno di noi, dichiara la nostra presenza, è la nostra firma al mondo, ogni voce è testimonianza di un Esserci! 
La voce porta con sé e in sé la nostra storia e il nostro essere nel mondo, variando da persona a persona: come non troveremo mai due volti identici, così mai troveremo due voci identiche. La nostra storia e il nostro modo di essere rivivono attraverso la voce: ne è testimonianza la varietà di modalità espressive che possiamo usare, diverse in ognuno di noi. Quante volte abbiamo a che fare con persone che parlando a bassa voce ci rivelano la loro insicurezza, il loro timo re di fondo, la loro riluttanza ad aprirsi all'altro, mentre invece persone sicure parlano con voce forte e chiara. Queste differenze sono amplificate nella patologia: si pensi che se per molti pazienti è una seria difficoltà essere visti dagli altri, per alcuni è ancora più insopportabile essere uditi. Questi pazienti tendono a parlare molto piano, molto poco e alcuni smettono addirittura di farlo, quasi per paura di essere sentiti e colti nella loro fragilità, insicurezza e sofferenza, quasi a testimoniare un momentaneo e, a volte, definitivo Non Esserci. La persona sente quanto la voce la riveli e la esponga ai rischi del mondo e quindi mette in atto un atteggiamento volto al silenzio, una chiusura, un non permettere che la voce esca, quasi in segno di protesta al mondo, ad un mondo che a suo tempo non ha saputo o voluto o potuto ascoltare. 
Io ho capito in prima persona l'importanza della voce, e quanto essa sia testimonianza nel nostro Esserci, quando tempo fa mi avvicinai al canto. Sono sempre stata molto attratta da questa disciplina, ma per anni ero spaventata e diffidente, sempre scoraggiata dalla convinzione “sono stonata”, “non fa per me”. Solo nel mio graduale avvicinarla ho avvertito poco alla volta come nella mia voce risuonasse tutta la mia insicurezza, come il mio timore del canto fosse una cosa sola con il mio timore del mondo, ed ecco il mio rifugiarmi nel silenzio, nel non usarla, la voce. E la convinzione “sono stonata” costituiva tutto sommato una rassicurante sicurezza che mi esimeva dall'affrontare di petto la difficoltà. Solo passo passo scoprii che lavorare sulla voce, scoprirla gradualmente e dolcemente era una cosa sola con il rafforzare la mia sicurezza nello stare al mondo. 
Per mesi ho cantato sotto voce, temendo che gli altri mi sentissero e mi cogliessero in errore, nascondendomi dietro le altre voci del gruppo fino a che, un giorno, a forza di esercitarmi e prendere maggiore confidenza con il mio corpo e con me stessa sono riuscita ad apprezzarla almeno un poco, la mia voce, firma della mia presenza, e a prendere un poco di gusto nel lasciarla risuonare, nel permettere che occupi una stanza, nel permettere che altri la sentano. Questo era la mia preoccupazione maggiore: la paura di espormi con la mia voce al silenzio degli altri, una sorta di esperienza di nudità ingestibile. Ora canto a voce semi-alta, mi sento meglio con me stessa e un poco più sicura di me. Aveva proprio ragione Rilke nei Sonetti a Orfeo: “cantare é esserci”.

Tamara Da Canal