mercoledì 25 giugno 2014

IL BELLO NEI GIORNI

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Ci fa bene tenere bello il luogo dove riposa chi si è amato tanto. È vero, rimane solo quello da fare, ma non è poco. E ne abbiamo bisogno, di quei pochi gesti, anche se l'andare in quel luogo è desiderato quasi lietamente, quasi ci si avvicinasse così a chi non è più qui con noi o lo è come non era mai stato prima, e il tornarne è sempre greve e le gambe pesano assai più al risalire quelle scale dopo quei pochi gesti che non al discenderle prima. Pure ci fa bene farli, quei pochi gesti, raccogliere qualche foglia secca, ridare delicatamente forma ai fiori scompigliati dal vento, dare un po' d'acqua, perché quel luogo sia ben tenuto, sia bello, sia in ordine. Non ci rimane che quello da fare, ma non è poco.

Tanto ci fa bene la bellezza, tanto cura le peggiori sofferenze, gli strazi senza nome. Perché bellezza e amore sono sempre inscindibilmente connessi, quale che sia la bellezza, quella che noi sappiamo offrire, con i nostri poveri mezzi. Una chiama l'altro, uno chiama l'altra: la bellezza ci risveglia alla capacità di amare, tante volte inoperosa, lasciata languire mentre il mondo diventa grigio, ci ricorda che nonostante tutto siamo sempre capaci di amare. E l'amore a sua volta introduce la bellezza nel mondo, lo riveste di bellezza e di splendore, lo rende bello e trasparente.

Questo può accadere in qualsiasi momento, caro lettore, nel piccolo delle nostre giornate, nelle nostre piccole case. Perché il bello salva, diceva Roberta De Monticelli, ma per accorgersene bisogna aver sofferto. E tu, lettore, hai mai sofferto?

Perché il bello ci salvi, perché lenisca la nostre sofferenze, occorre però che già abiti dentro di noi, anche se poco, anche se solo nella forma di vaga nostalgia – ah, poter conservare a memoria le poesie, permettere loro di irraggiare bellezza per tutta la vita dall'intimo della nostra mente ... Solo se ha nidificato inavvertito nei riposti anfratti dell'anima sappiamo riconoscere il bello quando ci sfiora durante le giornate, cosa che sempre fa nonostante i nostri occhi opachi e distratti. E perché abiti dentro di noi, occorre che noi ce lo propiziamo, che lo pensiamo, che lo rincorriamo spendendo qualche energia in suo onore. Lo possiamo fare sempre, questo sacrificio (sacrificio = fare sacro, una volta aveva una connotazione gioiosa, scegliere un dono è una gioia di per sé). Non è tanto lontano, il bello, non appartiene soltanto ai musei o alle sale da concerto, né tanto meno soltanto al lusso: ormai poi quel bello, dico quello della grande arte, ce l'abbiamo a disposizione come mai in precedenza, i mezzi di comunicazione, di riproduzione... Una volta si doveva viaggiare a lungo per raggiungerlo, Bach andò a piedi a conoscere e sentire il grande maestro Buxtehude da Arnstadt a Lubecca (circa 400 km...). Lo si raggiungeva con fatica e certo questo aiutava a goderne assai più e con maggiore profondità, come di tutte le cose condite dal sudore. Adesso è a portata di mano e rischia di passarci davanti agli occhi inavvertito. Pure c'è, è lì che occhieggia in qualunque edicola per strada.

Pure, portare la grande arte nel quotidiano delle nostre case ha senso solo se sappiamo rintracciarne le radici in ogni nostro piccolo fare quotidiano, solo se riusciamo a riconoscere che essa ci riguarda sempre personalmente, che ci aiuta a ritrovarci, a capire chi siamo, come siamo fatti. Essa continua a parlarci, incurante del tempo e dello spazio, in attesa che riusciamo a prestarle ascolto e a permetterle di agire su di noi. Non dobbiamo lasciarcene intimidire e soprattutto non dobbiamo relegarla, insieme alla bellezza, nel lusso. È arte grande proprio perché parla di tutti noi, delle nostre vite. Io credo che qualcosa sempre accomuni i grandi capolavori e i piccoli nostri gesti di ogni istante. Lo so, una grande distanza mi separa da Mozart o da Dante, ma sono molto più le cose che abbiamo in comune fra noi in quanto esseri umani, che non quelle che ci separano. Perché i grandi capolavori non sono prodotti da marziani, da gente che appartiene a un altro mondo: sono le parole di gente di questo mondo, lo stesso nostro, gente come noi che però ha amato, amato tanto, assai più forse di quanto siamo capaci noi con la nostra paura, che ha saputo darsi con tenacia e fermezza e pienezza a ciò che amava. Ognuno di loro ha da insegnarci qualcosa. Mozart, Beethoven, Michelangelo, per dirne solo alcuni: il loro fare è un continuo richiamarci, anche severo, è un continuo prenderci per il bavero e ricordarci pressante ma stai vivendo davvero, o dormi? o fai solo finta di vivere? Perché se vivi sul serio devi poter vedere e godere di ciò che ti ho donato a costo della mia vita.

Ogni grande opera d’arte è un dono che ci avvicina alla pienezza del vivere. Ma anche ogni piccolo lavoro ben fatto in casa nostra è un dono, purché ben fatto, fatto con dedizione, con amore, con tenacia, è un dono a chi ci sta intorno, al mondo intero. Ognuno di noi può nei suoi piccoli lavori avere presente Mozart, la grazia, la tenerezza, la delicatezza. La più umile, semplice e banale cosa, se fatta con dedizione e amore, è un dono prezioso. E qualunque cosa facciamo è alla fine sempre destinata a un altro, da un cuore può andare a un altro cuore. Beethoven, sordo e considerato un po’ matto alla fine della sua vita, anche un po’ troppo confidente con il vino, oltre ad alcuni dei più enigmatici interrogativi posti alla mente umana in ogni tempo (le ultime fughe ...) produsse la quintessenza della tenerezza nelle sue ultime sonate, negli ultimi quartetti.

L’artista non è un tipo speciale di uomo, ma ognuno di noi è un tipo speciale di artista.


Giorgio Moschetti

mercoledì 11 giugno 2014

LA FELICITA' DEL NUOVO

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Un po’ titubante inizio a scrivere questo articolo: sono una giovane laureanda in psicologia cui è stato chiesto, caro lettore, di condividere con te alcune riflessioni ed emozioni. Se da un lato i timori di non riuscire nel mio intento non mi abbandonano, dall’altro sento il forte desiderio di affrontare con te questa nuova esperienza. Perché questo mio desiderio di riflettere sul nuovo? Forse per i cambiamenti, inevitabili portatori di gioia e sofferenza, che soprattutto in questo periodo mi trovo ad affrontare?

Nascere, crescere… invecchiare: è un lungo tragitto. E sappiamo bene quanto in certi casi possa essere faticoso e difficile. Roberta De Monticelli ci ricorda che Agostino per primo pensò il tempo dell’uomo come continua genesi del nuovo. La vita è continuo divenire: un fiume che scorre incessantemente. E il nuovo è ciò che sempre ci si pone davanti, accogliente o minaccioso: quel masso più o meno grande a cui possiamo permettere di bloccarci, oppure che possiamo scegliere di aggirare, di spostare o di saltare. Qualche volta il nuovo ci sembra un ostacolo, qualche volta un dono, qualche volta entrambe le cose.

Certo ogni tanto siamo tentati di rifiutarlo, il nuovo. Certo è una soluzione che desta meno terrore di altre, che spaventa di meno, che sembra tranquillizzarci. Ma questo non vuol dire che faccia soffrire di meno: al di là delle apparenze immediate otteniamo solo dei falsi vantaggi. Perché accogliere il nuovo significa metterci in gioco, e questo ci può costare caro, significa lasciare la strada vecchia per la nuova, e questo è un rischio che tante volte abbiamo paura di correre: d'altronde il fiume della vita nel suo fluire, incurante delle nostre scelte arriverà al mare, quella sarà la meta. Che senso ha, dunque, parlare di felicità del nuovo, se il nuovo ci fa anche soffrire? Non dovrei parlare solo dei suoi aspetti positivi? Un passo alla volta: prima della fine di questo breve articolo spero di riuscire a spiegare cosa intendo.

Cosa ti viene in mente, caro lettore, pensando al nuovo? Io mi ritrovo a pensare a quello che per me è il nuovo per eccellenza: la Nascita. Al momento dell’entrata nel mondo tutto è nuovo come non possiamo neanche immaginarci. E infatti la nascita è anche la prima esperienza di angoscia: dover respirare per la prima volta, per la prima volta non essere più un’unica cosa con la mamma ... Quanti forti rumori che spaventano e che avevamo sempre sentito così lontani e ovattati! E pensa alle madri: se possono ben descrivere la felicità del mettere al mondo, allo stesso tempo ne conoscono bene la sofferenza.
Ma il nuovo ci viene incontro anche nei diversi ruoli che ci tocca assumere nel nostro vivere. Pensa ai nuovi contesti a cui spesso dobbiamo adattarci, ai cambiamenti nel lavoro, spesso accolti con timore, magari mescolato a curiosità.

Ma questo nuovo, di cui sto parlando, non è solo là fuori, non è solo la varietà e novità del mondo esterno. È anche quel divenire psichico che è dentro ognuno di noi, nel nostro mondo interiore: il nuovo viene anche da dentro, dai nostri sogni di ogni notte! Nel divenire psichico ci sono infatti i tratti di quello che saremo domani. Se appena gli diamo un po' di attenzione, il divenire psichico dentro di noi ci apre tutto il ventaglio delle nostre possibilità future e per questo possiamo vedere nel nuovo una risorsa, una ricchezza. Mille volte abbiamo guardato quella persona, e a un certo punto ci appare improvvisamente in una luce diversa, vediamo cose di lei che avevamo sempre avuto sotto gli occhi ma delle quali non c'eravamo mai accorti! Torniamo a casa dopo una vacanza, e il luogo in cui viviamo ogni giorno, la nostra stessa quotidianità ci appaiono diversi. Questo intendo quando scrivo che il nuovo viene anche da dentro: sono i cambiamenti in noi indotti dalla vacanza a farci scoprire casa nostra come nuova.

Termino con un'ultima considerazione: non dobbiamo porci nei confronti del nuovo in una posizione d’accettazione passiva, non dobbiamo limitarci distrattamente ad aspettare che avvenga. Ricordiamo invece quanto scrisse Agostino d’Ippona.: l’uomo fu creato perché si desse il nuovo. Per accedere alla pienezza della presenza ci è necessario e indispensabile accoglierlo positivamente, il nuovo, e integrarlo in noi stessi. Sta a noi, dipende da noi, riuscire a provare la felicità del nuovo!


Claudia Fè

martedì 3 giugno 2014

CONCERTO DEL CORO DOLCEMENTE E DELL'ENSEMBLE DI NOTABENE




Vi segnalo con molto piacere che, insieme all'Associazione Culturale NOTABENE a.p.s. di Ivrea (www.facebook.com/notabeneivrea), abbiamo organizzato un Concerto Vocale Strumentale che si terrà sabato 7 giugno prossimo presso il salone multiuso di Colleretto Giacosa alle ore 17. Nella prima parte canterà il Gruppo polifonico Dolce Mente (www.curaecultura.com/gruppo%20voce.htm), mentre nella seconda si esibiranno allievi e insegnanti della scuola di musica gestita da NOTABENE.

L’Associazione culturale NOTABENE ha sede in Ivrea ed è guidata da un direttivo di giovani musicisti e insegnanti di musica del Canavese e dei Comuni vicini. Ha attivato in questi anni numerosi corsi di strumento e di teoria musicale con metodi didattici innovativi. NOTABENE, val la pena di sottolinearlo, è anche sede, per gli esami di strumento e di teoria musicale, dell’ASSOCIATED BOARD OF THE ROYAL SCHOOL OF MUSIC (ABRSM), leader mondiale nell’organizzazione di esami musicali e valutazioni a ogni livello (www.abrsm.org). NOTABENE organizza saggi per i suoi allievi, seminari a tema, concerti, serate di videoproiezione e molte iniziative a sfondo culturale e musicale. 

Noi di Cura e Cultura siamo particolarmente lieti di aprire con questo concerto una collaborazione con NOTABENE che speriamo lunga e fruttuosa.