mercoledì 21 ottobre 2015

LA RISCOPERTA DELLA FRAGILITA': L'ANIMA SMARRITA E LA RICERCA DELL'ANIMA




E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose

Marisa ha cinquant’anni e sta attraversando un momento difficile e molto faticoso: molteplici incombenze, urgenti impegni, tra lavoro e casa, tra genitori anziani e malati e figli adolescenti, un sovraffollamento sul piano concreto che rende la sua vita dura e pesante. Da tempo non ricorda sogni. “E’ un periodo che mi sembra di essere un soldato. Obbedisco. Eseguo, sono immersa nel fare. Da qualche parte soffro, ma non ho quasi il tempo di accorgermene”.

Una mattina arriva da me, in seduta, con un’aria diversa, mi appare subito meno schiacciata, gli occhi vivi, di nuovo luminosi. Inizia dicendo di avere fatto un sogno, un sogno colmo di dolore, che la ricollega ad un evento traumatico del suo passato, e di essersi svegliata piangendo. Ma non perde lo sguardo luminoso e commenta: “oggi sono così felice! Ho ritrovato la mia anima. Mi sento viva, anche se c’è dolore, anche se soffro, ma di nuovo ci sono immagini, di nuovo il mondo interno si è messo in movimento”.

Perdere l’anima, ritrovarla. Gioia anche nel dolore.

Dove si smarrisce l’anima, quando inanimati attraversiamo la vita e ci sentiamo vulnerabili, fragili? Dove si ritira? Dove si nasconde? E il suo riapparire, per Marisa una festa… Sono risuonate in me le parole di Thomas Ogden, in Conversazioni al confine del sogno, quando afferma che “il lavoro psicologico che si svolge al confine tra preconscio e inconscio costituisce il nucleo di ciò che per un essere umano significa essere vivo. Quel confine è il luogo in cui avviene l’esperienza del sogno e della immaginazione; in cui ha origine ogni tipo di gioco e di creatività. […] Il confine tra inconscio e preconscio, il confine del sogno, è anche il luogo metaforico di quella conversazione tipicamente umana che svolgiamo con noi stessi e nella quale l’esperienza grezza che semplicemente è ciò che è si trasforma in esperienza che ha accumulato un po’ di essere Io”.

Ogden indica inoltre una tensione che non è solo l’incessante tentativo dell’inconscio di manifestarsi alla coscienza, ma anche il movimento inverso “di una coscienza che corre continuamente incontro all’inconscio”; è quando manca la comunicazione fra queste due parti che ci si sente fragili e si ha la  sensazione di vuoto e incompletezza.

La vitalità della psiche corrisponde allora al sentirsi pienamente vivi, al non essere separati da se stessi, a un dialogo che con le sue intermittenze ci avverte e ci segnala anche delle perdite di vitalità, dell’estraneità o della difesa proprio della vita psichica. Accade di difendersi dalla vita psichica per paura di soffrire troppo, di cercare più o meno consapevolmente stati di anestesia in cui perdiamo l’anima (e, ahimè, ciò capita a molti): il dolore, la fragilità percepiti possono spingere a cercare, a creare ponti, forse anche, come accade a Marisa, a sentirsi vivi, ma esiste anche il dolore che fissa, che scolpisce un’identità deformata nella parzialità, ma definita, esiste il dolore che trattiene e che fa apparire ogni oltre come un peggio…

Il contatto con l’anima è labile e fuggevole, con bagliori di intensità e lunghi smarrimenti. La ricerca di un contatto con l’anima ha a volte l’andamento carsico di un fiume il cui percorso è riconoscibile solo a posteriori; non manca quindi, è che non riusciamo ad accorgercene mentre scorre. A noi che lavoriamo con l’anima, nostra e altrui, sono necessari pazienza e tempismo, capacità di attesa e capacità di cogliere, tra mille fili, quello vivo nella relazione, sopportazione della perdita e intensificazione della presenza, con ciò che essa pone e chiede e manifesta.

“La ricerca della verità è una forma di passione”, dice Bollas. Ma la verità, le verità si pongono e si decompongono nella ricerca, e la passione indica un vertice di tensione, non una soluzione.

Forse non si scioglie mai, una questione complessa. Forse a volte un nucleo semplice, un momento di verità, si lascia afferrare. Forse intravediamo possibili luoghi di sosta. Ma continua, si continua, finché si è vivi, e Fragilità appartiene alla vita.

“E la cosa grave è questa: passare sopra la propria stessa vita senza addentrarvisi, può avvenire con molta facilità”, scrive Maria Zambrano all’inizio di La vita in crisi. Quando questo accade siamo “inquieti e inattivi. Ci è impossibile l’azione, un’azione autentica che scaturisca dal fondo della nostra persona”.

Di questo scritto si occupa con grande intensità Roberta De Monticelli in La fenomenologia dell’anima smarrita, dove in un passaggio cruciale, si sofferma sul valore etico della sfera dei sentimenti vitali. L’introspezione, il guardarsi dentro, non rimandano più solo a una generica migliore conoscenza di sé, ma riguardano, implicitamente ed esplicitamente, un ascolto di sé, che nel consentire o dissentire rispetto alle proprie emozioni, passioni, sentimenti, ci dice con maggiore nitidezza cosa ci sta più a cuore, cosa è veramente importante per noi, in un “ordine dei nostri amori”, che permetta un riconoscimento di sé, mentre ci apriamo al mondo. La conoscenza di sé, in questo senso, è forse l’unico vero antidoto a una passività affettiva ed emotiva forzata e indotta, a quella inquietudine che rende inaccessibile il “nucleo di calma, di quiete, quella specie di radice della nostra anima sulla quale ci eleviamo senza ricordarcelo”. “Sono i nostri amori che ci rivelano a noi stessi e agli altri”, scrive De Monticelli, “o meglio, sono le nostre prese di posizioni affettive che ci rivelano l’ordine di ciò che ci sta a cuore”.

Il nostro ascolto dell’anima (smarrita, ritrovata), atto d’amore verso noi stessi, della vitalità del sentire, dell’infelicità quando tutto all’interno sembra tacere, può essere avvio per un’azione nel mondo radicata nell’anima.


Andrea Montagnini


mercoledì 7 ottobre 2015

I SOGNI SULLA STRADA DELLA VITA


E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Chissà se esiste qualcosa di simile a una carta geografica che descriva il paesaggio della nostra vita, una sorta di mappa stradale con l’indicazione dei percorsi e degli itinerari di viaggio? È certo che ciò ci sarebbe di grande aiuto. La nostra vita si snoda attraverso grandi fasi – infanzia, adolescenza, prima, media e tarda età adulta, vecchiaia – con momenti di passaggio che andrebbero vissuti in modo consapevole, prendendosi tutto il tempo necessario. In passato, un campo veniva lasciato incolto per un certo periodo, dopo che aveva portato frutti, di modo che potesse rigenerarsi con calma. E nelle antiche culture si aveva cura di attraversare la soglia di una nuova età della vita con timore reverenziale, profondo rispetto e lunghi rituali. Se una donna o un uomo attribuiscono ai loro sogni sufficiente importanza da metterli per iscritto, o da tenerne addirittura un diario, avranno certamente cura di corredarli anche di una data, in modo da poter ricordare più tardi in quale notte li sognarono. Questo consente di mettere i sogni in relazione con gli avvenimenti del giorno precedente o anche di quello successivo. Come ci mostra l’analisi dei sogni, queste correlazioni esistono davvero, ed è su di esse che si basa il significato delle visioni oniriche. Questo significato, naturalmente, non si limita soltanto al giorno precedente o al successivo; non è solo una chiarificazione di quanto è già accaduto o un’indicazione sulla strada da percorrere in futuro. Certo, è ovviamente anche questo, ma i sogni, come testimoniano tutti coloro che ne tengono un diario, ci consentono di abbracciare in una visione retrospettiva intere fasi della vita, nonché il presentimento o il progetto di fasi future. Sappiamo per esperienza che l’atmosfera emozionale dei sogni, le loro tematiche e problematiche, hanno molto a che vedere con lo stadio della vita attraversato dal sognatore o dalla sognatrice, e che spesso i sogni lasciano già intuire che cosa si preannuncia nella nuova fase che sta iniziando. Spesso i sogni diventano veri e propri indicatori. I sogni ci inducono ogni volta a stupirci per la sapienza interiore della nostra psiche, per la sua capacità intuitiva e la sua facoltà di presagire l’importanza simbolica del nostro percorso evolutivo. In primo luogo ci insegnano che questo percorso esiste, che c’è un itinerario della vita umana le cui fasi e i cui ritmi sembrano scolpiti nella nostra psiche. Saperlo è di conforto per molti e ci dà fiducia nelle grandi e profonde interdipendenze della nostra vita. Quando, a trenta o a cinquant’anni, entriamo in crisi rispetto all’identità che abbiamo avuto fino a quel momento e rispetto alla nostra concezione della vita, secondo la psicologia del profondo questo non significa affatto che la nostra personalità sia labile, ma è piuttosto indice di apertura e di disponibilità al cambiamento, di una capacità di rispondere alle sollecitazioni e agli stimoli con cui la psiche ci spinge a un ulteriore sviluppo. Ma che cosa sono i sogni? I sogni sono manifestazioni spontanee del nostro inconscio, la nostra conoscenza più profonda che ci parla, e lo fa in un linguaggio talmente elementare, antico, ormai dimenticato dalla coscienza, da risultare molto spesso incomprensibile, tanto da non essere preso sul serio da molte persone. I sogni non dovrebbero essere accessibili solo agli esperti, ma a tutti coloro che prendono sul serio il linguaggio delle immagini, dei simboli interiori, che non lo razionalizzano. Il linguaggio dei simboli, diceva Erich Fromm, è l’unica lingua straniera che ognuno di noi dovrebbe davvero imparare. Secondo Jung, non dobbiamo pensare – come invece riteneva Sigmund Freud – che il linguaggio simbolico esprima in modo mascherato – magari per paura o per rifiuto – il reale messaggio del sogno; esso è invece il miglior linguaggio possibile, poiché descrive attraverso figure, simboli e situazioni un momento del nostro percorso esistenziale del quale siamo ancora del tutto o in parte inconsapevoli, e che può essere portato alla coscienza soltanto in questo modo. Prima di qualsiasi “utilizzazione” di un sogno, è particolarmente importante creare la condizione ideale affinché la sue immagini e il suo presunto messaggio ci parlino, e affinché noi accettiamo quel che ci vogliono comunicare. I sogni contengono una sapienza profonda che proviene dalla sorgente della nostra psiche. È utile mettere per iscritto i propri sogni perché già essi diventano più chiari e, anche se non interpretati, continuano a lavorare dentro di noi, purché ci occupiamo di loro. La nostra anima conosce e capisce le immagini e le emozioni che vi sono connesse ben prima che venga elaborata una loro interpretazione consapevole. Se portiamo i sogni a livello cosciente o ne parliamo, allora possiamo servirci dello sguardo che gettiamo nell’officina della nostra anima per accogliere gli impulsi e le opportunità che essa elabora nei momenti di transizione e utilizzarli per i passi successivi che dobbiamo compiere. L’effetto dei sogni si rafforza ulteriormente se li disegniamo o se modelliamo con l’argilla una figura onirica che ci ha particolarmente impressionato, se ci occupiamo cioè in maniera creativa dei nostri sogni. Alcuni ballano i loro sogni, mimando gli atteggiamenti e le figure in movimento delle scene fondamentali. È particolarmente utile lasciar sgorgare idee e associazioni spontanee relative ad immagini, persone o scene dei sogni, rivisitarle nella nostra fantasia e parlarne con uno specialista o con un conoscente. Per esempio, possiamo interrogare i nostri ricordi circa il paesaggio che vediamo in un sogno: conosciamo il ruscello di montagna che dobbiamo attraversare? È possibile collegarlo a determinate situazioni di vita e ai sentimenti che ne fanno parte? Una sognatrice, nel cui sogno un ruscello di montagna giocava un ruolo importante, anni prima aveva attraversato con suo padre – ora non più vivo – un ruscello simile. Nel sogno ci riusciva da sola, pur cadendo una volta. A differenza di quanto era capitato con suo padre, cadendo la donna finiva nell’acqua, che però si rivelava rinfrescante e piacevole. Proprio grazie all’incidente della caduta in acqua, che, come disse lei, a suo padre “non sarebbe mai successo”, entrò in contatto con questo elemento di energia spirituale. Nel sogno cadeva in un ruscello come in una vasca da bagno piena d’acqua fresca, in un elemento quasi materno. In questo sogno si annuncia una svolta verso l’indipendenza dal padre, con nuove modalità di esperienza delle quali fa parte anche l’elemento femminile. Interpretando i sogni è sempre utile, al di là delle associazioni personali dei sognatori, chiedersi che significato abbiano per tutti noi immagini come ad esempio l’acqua, il ruscello, la corrente, un guado, un ponte. È importante non dimenticare che i sogni si riallacciano alla grande tradizione delle immagini e delle scene archetipiche, che ci sono trasmesse dal mito e dalla Bibbia, dalle fiabe e dalla poesia attraverso molte generazioni e molti popoli. Così l’esperienza onirica del singolo entra in un contesto più vasto. La comparsa di simboli collettivi nei sogni o nelle situazioni reali rafforza la sensazione che il nostro destino sia legato a quello di tutti gli uomini, alle grandi esperienze dell’umanità.


Andrea Montagnini