E poi che la sua mano a la mia puose, con lieto volto, ond'io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose |
A proposito di canto, anch'io sono rimasto vittima
della grande capacità di illudersi della psiche. Oppure devo aver subito
l'incantesimo di qualche mitica e immaginaria sirena che con il suo canto mi ha
sedotto, ammaliato e fatto credere che un giorno anch'io avrei cantato con
grande gioia nel coro polifonico di Cura e Cultura (d’ora in poi C&C). Del resto, come si
fa a non ascoltare il canto della sirena. Forse avrei dovuto turarmi le orecchie e farmi legare come fecero Ulisse
e i suoi compagni, per evitare tutto ciò che il canto avrebbe poi comportato
per me.
Come se non bastasse tutto ciò, il caro Giorgio e la
sua compagna di sempre, musa della musica e del canto, con le loro allettanti
proposte di: amore, successo e quant'altro, se mai avessi partecipato al GruppoVoce, mi hanno sedotto e convinto a farne parte.
Uno o tutti insieme i fatti citati hanno agito come
un'esca e alla fine la trappola è scattata e ho iniziato a frequentare le
lezioni di canto e così mi sono trovato nudo davanti alla realtà del fatti. Che
da una parte sono il semplice desiderio di cantare, di gioire del canto,
certamente anche di conoscere finalmente la mia voce. Forse più nel profondo
c'è il desiderio di affermazione della presenza del singolo essere umano, come
dire: ci sono anch'io. Il suo fascino affonda sicuramente nel mito, se non
prima ancora, quindi addirittura di provenienza istintiva.
Dall'altra, alla prova pratica dei fatti sono emersi
tutti i miei limiti psichici e fisici per realizzare il canto. Dove solo una
buona dose di pazienza e comprensione di Giorgio, e di tutti i miei compagni di
canto, può permettermi di migliorare sulla strada del canto e della vita nella
conoscenza di me stesso. Qui ci sarebbe da aprire un gran capitolo a proposito
del grande valore dell'accoglienza.
Devo aggiungere che l'argomento canto in qualche modo attivò in me vecchi ricordi di gioventù,
nostalgia di canti, quando canticchiavo le canzoni in voga a quei tempi. Oppure
ai tempi delle feste dei coscritti, 50 anni or sono, le equivoche canzoni
d'amore e sesso che ora mi fanno sorridere. Quelle feste di gioventù ricche di
entusiasmo, voglia di vivere, di euforia direi, dove anche il cielo è lì a
portata di mano, ora fanno parte del mio vissuto. A quella età era molto
importante l'appartenenza al gruppo, quello che si cantava era certamente
secondario. Anche ora sentirsi partecipi di un gruppo, o di una parte della
società ove la base comune sia la condivisione di valori, è più che opportuno,
direi indispensabile.
O ancora, i canti di montagna, lassù sopra Alagna
Valsesia verso il col d'Olen negli anni 50, con mia madre e un bel gruppo di
conoscenti e non. Quando si rimediava un passaggio in macchina fino ad Alagna: eccoci
pronti a camminare per ore, prima nel bosco, poi a mano a mano si saliva, il
bosco si diradava, fino a che si raggiungeva la quota delle ultime conifere. A
quella quota, un poco alla volta, apparivano all'orizzonte nuove catene di
montagne, spazi immensi si aprivano davanti a me, appena lì a quattro passi la
neve eterna dei ghiacciai del Monte Rosa. La luce, i colori, quel blu cobalto
del cielo verso nord, visibile solo lassù a una certa quota e solo con
determinate condizioni di luce, era qualcosa di meraviglioso, di irreale.
Conservo ancora, da qualche parte dentro di me, lo stupore e la gioia vissuti
in quei momenti. Ricordo quell'aria spisighinna (fresca, pungente) delle prime
ore del mattino, quando ci si avviava a piedi in quello stato di semi-veglia
tra l'intirizzito e l'assonnato: era sicuramente il momento più difficile della
giornata, i primi passi sono sempre i più faticosi, poi quando il motore si è
riscaldato le gambe girano più leggere per raggiungere la meta. E poi, cammin
facendo, come era possibile per un bambino resistere al fascino di quella cannella
d'acqua gelida di sorgente, che solitamente fornisce l'abbeveratoio per il
bestiame negli alpeggi? Tutte le cannelle di tutti gli alpeggi venivano
rigorosamente prese in considerazione e ogni volta che bevevo quell'acqua di
ghiaccio, mi aspettavo che mi indicasse con il suo gelo, il suo percorso giù
giù fino allo stomaco.
Anche questo era un gioco. Forse l'intera giornata voleva
essere un gioco.
Arrivati alla meta, la giornata proseguiva con il
pranzo al sacco. Che bontà e profumo, quel panino imbottito di bistecca
impanata e peperonata. Dopo aver mangiato ci si riposava sotto quel sole, a
volte cocente, sdraiati sulla fresca erba di montagna. Quando si è stanchi
anche un prato si trasforma facilmente in un giaciglio a 4 stelle. In seguito qualcuno
iniziava ad intonare qualche canto di montagna, ci si sistemava a cerchio, così
iniziava la magia del canto che ci accomunava tutti in un grande abbraccio.
Per quella e per tante altre camminate in montagna
rimangono vive in me una, dieci, cento emozioni indimenticabili di vita
sociale, di calore umano, di amore per la natura; sensazioni di armonia
difficili da esprimere. Per un bambino, era la gioia di vivere.
Al ritorno un po’ scottati dal sole, stanchi ma
appagati per il vissuto, la giornata si concludeva con l'immancabile frase che
segue i grandi giorni di festa: mamma quando andremo ancora in montagna?
Nulla è cambiato, anche ora da adulto, quando ritorno
da un viaggio, se mi ha lasciato sensazioni ed esperienze significative,
culturali, umane ecc. Al ritorno, nel momento del distacco, la sua nostalgica
forza aumenta a dismisura, è come un amore che non si vuole lasciare. Allora
per consolarmi faccio una solenne promessa: ritornerò certamente un giorni in
questi luoghi, per rivivere quanto ho goduto. Magari anche per riprendere ad
occuparmi, con la dovuta leggerezza, del tenue filo che mi conduce a quella
sfuggente sensazione di incompletezza dell'essere umano che aleggia dentro di
noi.
Come spesso succede molti fatti importanti della vita
avvengono per caso. Il per caso,
molte volte, non è altro che una opportunità che si presenta e che il grande
suggeritore che c'è dentro di noi ci invita a cogliere. A questo punto la
nostra coscienza, come mille altre volte ha fatto, può archiviare il tutto con
qualche scusa più o meno sensata, o accettarla come un’opportunità di nuove
esperienze che ci offre la vita.
Nel mio caso il canto non è che la conseguenza di un
percorso, molto significativo e coinvolgente, iniziato al primo incontro Intelletto d'amore, nel 2006. In quella
occasione mi risultò in modo evidente che immagini del passato relative al
vissuto con i miei genitori erano ancora troppo forti, in qualche modo andavano
riviste. Con l'occasione se ne potrà parlare, vale la pena farne una nota a
parte. Ora proseguiamo con il canto, praticamente è stata una scoperta, o
quasi, della bellezza del mondo della musica e del canto, fino allora piuttosto
lontana da me, per vari motivi: non raggiungibile culturalmente, non
comprensibile, richiede una certa dedizione per arrivare a goderne ecc.
Precisiamo pure che per musica Giorgio intende solo quella con la emme
maiuscola, escludendo canzonette e amplificatori prodotti demoniaci di una
certa incultura musicale moderna.
La strada del canto mi è risultata sin dalle prime battute
molto impervia e difficile da percorrere, per rari tratti l'ho vissuta
avvicinandomi alla bellezza e alla gioia del canto. Tuttora mi è richiesto molto impegno per poter
godere appieno dei sentimenti che genera il canto.
Nonostante ciò, se mi sarà possibile non ci rinuncerò
tanto facilmente. A questo punto mi rendo conto che più che determinato sono un
egoista. Infatti parallelamente all'impegno del canto, colgo i frutti di queste
piccole fatiche e gioie nella vita quotidiana, magari semplicemente allargando
l'orizzonte di vita. In realtà c'è molto di più: da questa piccola passione e con
il mio modesto impegno con C&C (lo dico con molto timore) un amore pian
piano cresce, e alla fine l'amore porterà certamente i suoi doni. Diciamola
pure tutta, io sto già raccogliendo frutti abbondanti dai sapori e profumi
inediti e antichi. Veramente ottimi frutti dell'umana natura che a volte è
difficile saper coltivare e assaporare in solitudine.
Quando parlo di strada impervia da percorrere per il
canto, intendo le difficoltà che devono affrontare il mio corpo e la mia mente,
ogni qualvolta viene richiesta una prestazione di psiche e fisico insieme, che
in qualche modo non riesco a gestire con un minimo di serenità. Qui vale la
pena ricordare il contorcimento di anima e corpo che si avvinghiano
inestricabilmente in uno stato di sofferenza, anziché di collaborazione e
armonia, come sarebbe auspicabile avvenisse. Come si è già visto in altre
storie, a questo proposito anch'io ho chi mi aiuta, infatti la fatina Valentina
suggerisce: "ecco adesso si agita", indica appunto il mio evidente
stato di difficoltà. Questo messaggio, ripetuto nel tempo, mi ha consentito di
prendere meglio coscienza che il canto non è che la punta dell'iceberg della
mia storia del rapporto corpo psiche, anche se, all'inizio tendevo ad isolare
il fenomeno al canto e a poche altre situazioni, che in qualche modo già
conoscevo e cercavo di gestire con una certa dose di sofferenza. Semplicemente
con il canto i sintomi comportamentali risultano ancora più evidenti.
Qui vale la pena di accennare all'atteggiamento della
coscienza che tende a ignorare ciò che proviene dall'inconscio, non solo, ma
anche ciò che avviene nei fatti reali, ossia: ciò che si può dedurre dal nostro
comportamento, analizzando semplicemente i fatti accaduti e come si sono
svolti.
Quindi la coscienza contribuisce, in qualche modo, a
nasconderci, mischiando un po’ le carte e facendo passare quasi inosservati
fatti importanti, che indicano dove noi siamo più fragili, più aggressivi, in
qualche modo un po’ fuori dalle righe, un po’ fuori equilibrio rispetto al
solito, ed è lì il problema.
Del resto, qualora si arrivasse anche a riconoscere
che siamo in presenza di complessi autonomi in grado di condizionare più o meno
pesantemente il nostro comportamento, qui si rimane con il cerino acceso in
mano. Infatti ad un certo punto si inizia ad individuare, attraverso l'analisi
del nostro comportamento, dove i complessi sguazzano e la fanno da padroni.
Purtroppo non basta prendere coscienza di questi subdoli padroni, per iniziare
una nuova vita senza la loro ingombrante presenza. Il voler cambiare,
indispensabile per avviare un nuovo modo di essere, momentaneamente non produce
risultati: significa semplicemente che si è fatto il primo passo dei tanti che
dovranno poi seguire, per raggiungere veramente un nuovo stato mentale
predisposto al cambiamento.
Ho osservato i partecipanti al gruppo voce, il loro
maggior sforzo è indirizzato all'apprendimento dello spartito e al suono della
voce da emettere per il raggiungimento della bellezza del suono. E qui
riconosciamo al canto la grande valenza di tipo estetico, la bellezza di
riprodurre suoni, armonie che giacciono su uno spartito e che il direttore
dirigendo il coro, magari anche sbracciandosi se i coristi non seguono, riporta
in vitatramite i coristi.
Per me ovviamente oltre alla valenza estetica, il
canto possiede una grande valenza di tipo terapeutico: in pratica devo
rilassarmi e imparare a coordinare corpo e psiche prima ancora di imparare a cantare.
Perché alle prime difficoltà corpo e psiche, come ho già detto, vanno per loro
conto. Questo mi invita a riconoscere che il canto è prima di tutto una scuola
di vita, dove prima imparo a conoscermi, poi come dovrei comportarmi con anima
e corpo in modo appropriato al canto. Idem per le tante altre situazioni che mi
portano a vivere le stesse sensazioni di incapacità che ho nel canto. Infatti,
a volte, tutto frana sotto i miei piedi, divengo estremamente fragile, mi sento
come dimezzato, addirittura lasciato solo, ma da chi?
E' da queste sensazioni di inadeguatezza che devo
partire. Innanzitutto cercando di riconoscere il mio "limite
individuale" dalla componente che deriva da un complesso, e qui c'è già da
ridere per un bel po’, forse equivale a voler separare i due oli da una miscela
degli stessi. Forse l'accettazione dei miei limiti sarebbe già un bel passo avanti, poiché mi consentirebbe di
godere di quel poco che sono senza frustrazioni.
Sono arrivato ad un punto in cui inizio a fare ipotesi
non consolidate, qualcosa di non compreso. Quindi è bene lasciare sedimentare
il tutto, quindi termino, non prima di aver aggiunto un paio di osservazioni:
1 - ogni passo in avanti nella vita, anche alla mia
età, è faticoso e impegnativo come uno dei primi passi che Beatrice, la mia nipotina di 11 mesi, proprio in
questi giorni cerca di fare.
2 - La preparazione al canto e gli incontri del
mercoledì di C&C dove, oltre all'aspetto di alto profilo culturale, stima,
affetto, grande attenzione alla sofferenza umana circolano a piene mani, sono
una vera e propria stregoneria d'altri tempi, l'equivalente di una pozione
magica adatta all'uomo della nostra epoca. Sono delle possibili luci che
contribuiscono a illuminare il cammino lungo la strada che conduce al proprio
destino, sono un contributo a questo eccesso di coscienza e razionalità che
dominano la nostra società. L'occuparci del bello, come fa il gruppo dei
partecipanti a C&C, per esempio di un' opera d'arte, studiarla,
approfondirla e andare alla ricerca dei suoi significati più profondi,
significa in un certo senso andare a risvegliare il genio creatore immortalato
in quell'opera. A quel punto l'opera sprigionerà tutte le sue potenzialità
emotive, non sipotrà rimanere insensibili, ne rimarremo certamente
coinvolti se non travolti; molte e molte emozioni emergeranno dal nostro
profondo. Quindi occuparci di un'opera d'arte in definitiva equivale ad
occuparci, immersi nella bellezza, di noi come gruppo e di noi stessi.
E singolarmente magari potremmo iniziare ad imparare
ad occuparci di tutto l'insieme dei nostri sentimenti, prendendo timidamente
coscienza (iniziando a sospettare) di parti che sono in disarmonia, che ci
procurano qualche sofferenza, in fuga da noi, di azioni che ci dovrebbero
procurare gioia invece non ce ne danno per niente, ecc.
Quindi riconosciamo a C&C il valore di saper
creare meravigliose occasioni di contesti favorevoli per prendere coscienza di
noi e dei nostri sentimenti. In questo senso è proprio una sorta di pozione magica, l'occasione per iniziare
a fare quanto di meglio possiamo fare per noi. Queste modeste note, impensabili
tempo addietro, sono la testimonianza della capacità rigeneratrice e curativa
che la delicata anima di questo gruppo promuove e stimola al fare esperienza, per
proseguire nella propria crescita psichica, secondo la sensibilità, necessità e
capacità individuali dei vari periodi della vita.
Per terminare sempre a proposito di canto, quando
canticchio a Beatrice la canzoncina del cartone animato de: “I tre porcellini” di
Walt Disney, che alla fine recita: tutti e tre gli fan ... CU-CU ... CU-CU ... CU-CU
... a quel punto immancabilmente un grande sorriso illumina il suo viso, la sua
gioia come un dono scende nel profondo della mia anima.
Gianni Borghino