giovedì 23 ottobre 2014

IN NOME DEL PADRE

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Qualche sera fa insieme ad un caro amico ci siamo ritrovati a fare alcune riflessioni che vorrei condividere con te, caro lettore, su ciò che oggi rappresenta la figura del padre.

Tutto nasce da un articolo di Giorgio Boatti su "La Stampa", dal titolo a mio avviso sarcastico ma neanche troppo: "Abbiamo fatto la festa al papà". Si tratta di una riflessione sui cambiamenti che hanno coinvolto la figura del padre, il suo ruolo e il tipo di autorità da lui rappresentata nei diversi periodi storici fino ad arrivare ad oggi, recensendo un libro pubblicato da Marco Cavina "Il padre spodestato. L'autorità paterna dall'antichità ad oggi".

È un'interessante carrellata che inizia dalla figura del padre nella civiltà romana, quando la patria potestà era intesa in modo totalizzante: il padre aveva il diritto di vita e di morte sui propri figli, era una grande mano in grado di decidere, anche in caso estremo, sulla stessa esistenza della prole, nonché di dirigere ed esercitare l'autorità in termini di potere assoluto.

L'articolo ricorda che solo con la rivoluzione francese venne abolita la patria potestà in termini assoluti: si trattò di un cambiamento radicale, non solo in termini giuridici, che scardinò una impostazione mentale durata secoli. Certo dovette passare ancora del tempo per arrivare agli anni sessanta del secolo scorso e ai mutamenti giunti insieme alla contestazione giovanile, che hanno sottolineato il primato del singolo, a tutt'oggi vigente come una delle caratteristiche della nostra società individuale e individualista.

La struttura della famiglia si modifica sotto i colpi del pensiero e i ruoli di autorità divengono più sfumati: non si parla più di patria potestà, ma di responsabilità genitoriale, in cui chi definisce le regole per la crescita dei minori sono sempre più spesso altre agenzie formative come la scuola, e altre figure come gli educatori, gli insegnanti, i psicologi, ecc..

Attualmente nell'odierno linguaggio comune il termine autorità credo sia inteso, anche da te lettore, soprattutto come figura giudicante, sanzionante, figura che come tale non ispira una gran simpatia. E' il modo, assai parziale ma molto comune, non di rado tinto di una certa diffidenza e distanza, con cui siamo abituati a pensare a questa parola e al suo significato. Ma forse ti sorprenderà sapere che in origine, etimologicamente, autorità, al pari di autore, derivano entrambi dal latino auctor-oris, che significa colui che promuove la crescita, che fa avanzare, che potenzia. Quanta differenza! Quanta ricchezza di implicazioni si perde in questa nozione se la si limita al solo giudice severo che sanziona!

L'autorità, certo intesa in questa accezione e non in altra, è invece figura indispensabile in qualsiasi relazione interpersonale caratterizzata da una forte disparità di potere (genitore figlio, insegnante allievo, terapeuta paziente e così via): il primo termine di ognuna di queste coppie, l'auctor, proprio in quanto promotore di crescita, proprio in quanto figura che fa avanzare, che potenzia, deve essere in primo luogo una base sicura che permette all'altro, al figlio, all'allievo, al paziente di fare esperienza in un ambiente sicuro in cui possa conoscere e agire: il bambino ha bisogno della sicurezza rappresentata dal genitore per imparare a muoversi con i suoi pochi strumenti nel mondo, per conoscerlo e per agire. Ma chi promuove, chi fa avanzare, chi potenzia, deve poi anche rendere possibile lo scambio fiduciario, sapere essere cioè oggetto di fiducia e in seguito insegnare all'altro a essere lui stesso oggetto di fiducia, perché solo in un contesto fiduciario, in cui l'altro rappresenti sicurezza e affidabilità, la Persona può articolare nel mondo la sua manifestazione.

Certo la figura di autorità, autorevole, promuove la crescita, sprona e incoraggia ma anche ferma, contiene, ricorda e definisce i limiti. Operazione non semplice ma indispensabile: che si tratti di imparare a 'saper fare' (andare in bicicletta, guidare, fare i calcoli) o a 'saper vivere' (avere rispetto degli altri, di sé, avere delle regole di vita, ecc..) la consapevolezza dei limiti, propri e del mondo, è condizione basilare per qualunque azione.

Che significato può avere tutto questo nella nostra società che considera la libertà personale un valore assoluto, che considera la nozione di limite con un certo fastidio, che valorizza l'assenza di limite, la situazione estrema?

Credo, caro amico lettore, che non ci possa essere autentica libertà personale senza etica e morale, senza un chiaro ed esplicito riconoscimento dei ruoli e delle responsabilità che i ruoli comportano: la autorità vera è quella di coloro la cui presenza accresce la sicurezza di chi è più fragile, pone le condizioni perché chi ha meno potere possa svilupparne di più progressivamente colmando il gap di partenza e acquisendo sicurezza, autonomia, affidabilità. L'autorità nel significato etimologico tende a redistribuire il suo potere, ad attenuare il dislivello iniziale, ha fatto la sua parte quando l'altro è diventato a sua volta autorevole.

E il nostro protagonista, il padre, dove si colloca in queste poche righe di riflessione?
Mi piace pensare e credere che il padre, proprio perché portatore di sicurezza e di fiducia, proprio in quanto figura di autorità amorevole debba essere oggi più che mai presente. Presente con la voglia di costruire un ambiente stabile dove poter fare esperienza anche se il mondo cambia di continuo; presente come persona di fiducia, così rara da trovare eppure così indispensabile; presente con la voglia, anche se giornalmente faticosa, di aiutare non solo ad avere tante cose e oggetti, ma ad avere il senso delle cose, il rispetto degli oggetti; presente come voce che sostiene, incoraggia, che sa spronare e sa fermare quando è il caso. Cari lettori che siete anche papà, avete un ruolo difficile ma indispensabile: non scoraggiatevi per questo, non tiratevi indietro, non abdicate, c'è bisogno di voi e del vostro aiuto per crescere e diventare adulti veraci!
  

Elena Iorio

venerdì 10 ottobre 2014

LA NOSTRA LIBERTA' TRA SCELTA E REGOLA

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
La mia libertà ... la tua libertà ... Dove finisce la mia comincia la tua ... In quanti modi parliamo di libertà! Che parola importante è mai questa! Oggi noi vogliamo dare un piccolo contributo alla riflessione su questa nozione, senza però farne una faccenda ideologica, senza per forza simpatizzare per questa o quella parte politica: piuttosto per riscoprirla, la libertà, per vedere dove si annida, o almeno provarci, nella piccola concretezza del nostro vivere.

Cosa significa essere liberi? Proviamo a dare diverse risposte. Una potrebbe essere: siamo liberi quando sappiamo cosa fare e quando farlo. Mica male: ma più facile a dirsi che a farsi! D'altronde la libertà ci sembra condizione fondamentale e specifica della Persona: non riusciamo a pensare a una Persona nella pienezza della sua manifestazione e creatività se non come libera, e una Persona non libera ci sembra che fatichi di più a essere pienamente Persona.

Cosa significa essere liberi? Siamo liberi, questa è un'altra risposta, quando sentiamo di avere la capacità, dentro di noi, e la possibilità, fuori di noi, di decidere tra le diverse opzioni che ci si presentano nel quotidiano. Il mondo certamente influenza le nostre decisioni, a volte ostacola la realizzazione dei nostri desideri, ma in quasi tutte le circostanze, se non in tutte, ci rimane sempre comunque un qualche spazio di effettiva libertà entro il quale compiere delle scelte. Forse non sempre possiamo fare, ma sempre possiamo pensare. L'azione ci può venire proibita, ma il dare significato alle cose, no, è ben difficile che ci venga impedito ... almeno finché siamo vivi. Sul dopo, non sappiamo un granché. L'importante è riuscire a riconoscerlo, questo piccolo spazio di libertà che da qualche parte sempre conserviamo.

Talvolta non è facile riconoscerlo, questo spazio di libertà. Altre volte invece le troppe possibilità ci disorientano e ci paralizzano. Una banale influenza limita la nostra libertà, ci costringe a letto, non possiamo uscire di casa, dobbiamo rinunciare ai nostri importanti impegni, ma pensa invece all'improvvisa vincita di una grande somma di denaro, che ci spalanca quasi illimitate possibilità ancora più pericolose della privazione della libertà. Che fine hanno fatto molte delle Persone che hanno vinto somme strabilianti nelle lotterie?

Anche il nostro stato emotivo, il nostro modo di sentirci può limitare la nostra libertà. Quando siamo più incerti, insicuri, fragili, quando abbiamo paura è assai difficile operare delle scelte. In questi momenti siamo assai poco liberi… Scegliere, si sa, implica anche la possibilità di sbagliare, ma proprio poter scegliere ci fa sentire unici e autonomi, ci dà sicurezza. Viceversa dobbiamo essere sufficientemente sicuri e autonomi per permetterci di correre il rischio di sbagliare, e anche davvero magari sbagliare, senza che questo diventi il fallimento della nostra vita!
Nel percorso scolastico, in quello lavorativo e in generale nel percorso di vita nei primi tempi ci troviamo a compiere scelte di minore portata – pensa alle scelte dell'infanzia – e solo in seguito riusciamo ad esercitare la nostra libertà su scelte di portata sempre più ampia, che riguardano noi stessi e gli altri. I genitori nel prendersi cura dei figli devono fare attenzione a rispettare lo spazio di libertà all’interno del quale i figli sono in grado di scegliere e non caricarli di libertà (e responsabilità) che non competono loro e che non sarebbero in grado di reggere. Se i primi assumeranno sulle loro spalle la responsabilità delle proprie decisioni, se decideranno quando è compito loro decidere, i secondi progressivamente impareranno a farlo e a crescere liberi.

Poi c'è il complesso rapporto fra la libertà il suo opposto, fra libertà e regola, vincolo.
Non ha senso parlare di luce se non in relazione a oscurità, e viceversa. Così non ha senso parlare di libertà prescindendo da vincolo, da regola. La parte naturale di ciascuno di noi, il corpo, è caratterizzata dalla regola, come la natura che ci dà origine: l’alternarsi del giorno e della notte, l’inspirazione e l’espirazione, il battito cardiaco. Cosa succede quando queste regolarità si alterano? Non è, proprio oggi, una preoccupazione planetaria tentare di interferire il meno possibile con le regolarità naturali (oggi si dice ambientali) per garantire un mondo vivibile ai nostri figli? È proprio il senso di responsabilità, verso noi stessi e verso gli altri, a ricordarci l’importanza della regola nei rapporti fra noi. Non essere i soli al mondo ci ricorda che libertà non può significare capriccio, il capriccio infantile di chi ignora che il resto del mondo è la base del suo stesso esistere: la vita in comunità implica il rispetto delle regole… Ma attenzione: questo proliferare di regole non ci rende meno liberi, al contrario delimita con precisione l'ambito delle scelte e per questo le rende possibili. Perché le regole sono vincoli e insieme mattoni per ogni costruzione.
Non posso fare nulla escludendo qualsiasi regolarità. Libertà avulsa da regola, contrapposta a regola diventa capriccio distruttivo.

Cosa significa essere liberi? Significa anche esprimere la propria creatività: l’artista, il progettista, il politico apportano delle innovazioni e dei cambiamenti nel mondo, ma non dimentichiamo che anche ciascuno di noi lo fa, creando la propria vita secondo le proprie inclinazioni, secondo la propria virtute, la propria norma. L’originalità tipica di ogni atto creativo è sempre collegata a una qualche regola che rappresenta il mattone della costruzione creativa. Se la creatività perde la regola diventa arbitrio, e non libero (arbitrio). Creare il nuovo impone la conoscenza della regola: comunque, per essere infranta o superata dovrà pur essere conosciuta! Qualsiasi invenzione o innovazione è preceduta sempre da una profonda conoscenza della materia e delle regole che sono alla base per la costruzione creativa.


Claudia Fè ed Elisa Vigna