E poi che la sua mano a la mia puose, con lieto volto, ond'io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose |
Noi tutti siamo bisognosi di
bellezza. Qualche volta in modo disperato, quando la sofferenza per anni ci
sfigura, come capita a quanti di noi sono afflitti dal grande male mentale. La paura
fa rifiutare il rischio del vivere, la passiva inerzia minimizza (almeno
dovrebbe) la sofferenza: con queste due compagne, la vita diventa un'infinita
minaccia dominata dalla categoria del brutto. È brutto sentire di non valere
nulla, è brutto sentire di essere incapaci di tutto, è brutto fallire continuamente,
è brutto rifugiarsi nel delirio, nel bere.
Ma riflettiamo un momento.
Il “malato”, come ognuno di noi, è un
progetto. Ma è un progetto scomposto, irriconoscibile, disperso nel caos;
tuttavia è al mondo, è spinto ciecamente dalla necessità di esserci. Si trova
sulle spalle questo compito del vivere, che gli è piombato addosso senza
chiedere il suo parere, e non sa come fare: è una presenza incastrata fra la
necessità di essere al mondo – devo vivere, sono stato buttato nel mondo, la
biologia del mio corpo lo reclama – e l’incapacità di farlo – ma non so come si
fa, non mi ci raccapezzo ...
Il “malato”, come ognuno di noi, non
solo è al mondo: è lui stesso un mondo, per sconquassato che sia, e come tale
potrebbe sempre dirci qualcosa su questa avventura del vivere, che ci riguarda
assai da vicino e di cui da sempre ci manca il libretto di istruzioni. È una
Persona, è eccedenza di significato, è fonte inesauribile di valore che con la
sola presenza può impreziosire il mondo, appena questi lo guardi con la lucida intelligenza
dell’amore. Ogni lavoro la richiede, ma questo, il prendersi cura di coloro che
vivono ai confini del vivere, la richiede, la pretende, la esige ancora di più.
Osservate per un momento, cara
lettrice e caro lettore, come nei pressi della grande sofferenza mentale vadano
a intrecciarsi amore, eccedenza di significato e necessità della presenza:
questo intreccio ci avvicina all’esperienza della bellezza.
La bellezza: lasciamo per un istante
il “malato”. Dove la troviamo, la bellezza?
Quando ne facciamo esperienza?
Pensiamo alla generosità della grande arte, alla letteratura, alla musica, alla
pittura ... Anche se non vi badiamo più di tanto nelle nostre giornate, essa,
la grande arte, è così importante per la nostra vita che faticheremmo a pensarci
senza. È entrata nel nostro linguaggio quotidiano senza che ce ne accorgessimo,
l'ha costituito come il terreno che ci sostiene: non lo sappiamo, o lo
dimentichiamo, ma ogni nostra esperienza passa attraverso il suo filtro. È
sufficiente pensare a Dante? Per questo non ci è difficile comprenderne la
necessità, della bellezza: non ci è necessaria la bellezza di quella Pietà che
un Michelangelo – a ventitré anni, ven-ti-tré! – seppe pensare e scolpire?
Tante grandi opere, al pari di questa
Pietà, continuano a distanza di secoli a parlarci, a significare per noi,
continuano a dirci chi siamo e come siamo fatti, solo che ce ne ricordiamo.
Ecco la loro eccedenza di significato.
Infine esse ci fanno stare bene, ci
capiscono, ci amano. L'andante cantabile della Sinfonia k 551 non ci conferma,
non ci fa sentire amati e accettati nel profondo? Non legge nella nostra
profondità come solo l’amore profondo può fare? Quasi che il suo risuonare
magnificasse dentro di noi ricchezze a noi stessi ignote, ci mostrasse cosa si può
fare della sostanza umana, della nostra sostanza umana. Ah, ma se essere umani significa
anche essere così come dice l'andante... accidenti, mica male ... ma allora ne vale
la pena .. che bello ...
La bellezza: nelle nostre giornate fa
capolino nel linguaggio senza che ce ne accorgiamo, quando esclamiamo “che
bello!”, “che bella persona”, “che bellezza!” . Senza pensarci tanto salutiamo
qualcuno e gli diciamo “ciao bella!”, “ciao bello!”. Forse questo significa: ho
proprio piacere di vederti, la tua presenza tutte le volte significa qualcosa
di più, è proprio importante che tu ci sia, è necessario, forse provo qualcosa
di simile all’amore.
Se diciamo bella a una cara Persona,
e lo diciamo a Mozart e a Michelangelo, una ragione ci sarà? Forse si tratta di
esperienze per qualche verso affini?
Torniamo ai “malati”: dobbiamo
imparare a vederli belli, i “malati” (e magari anche i “sani”). A immaginarne
la bellezza nascosta dietro la sofferenza, quella bellezza che loro hanno
dimenticato o non hanno mai visto. Dobbiamo saperli guardare con lo sguardo del
mentore, o della madre amorosa, di coloro che sanno ravvisare le promesse nel
seme.
Perché la loro immagine bella, quella
che nascerà dalle nozze della loro realtà con la nostra anima, quella, quella
essi vedranno nei nostri occhi, e sarà il loro farmaco, la loro guida al
vivere.
Ma possiamo vederli belli solo se la
bellezza soggiorna dentro di noi, se già il nostro sguardo ne è abituato. Noi
siamo fortunati: siamo in Italia! Quell’Italia che custodisce una percentuale
esorbitante delle opere d’arte di tutto il mondo! Quell’Italia che è stata nei
secoli, ed è tuttora, considerata il paradiso della bellezza, dell’arte, del
saper vivere e, non ultimo, del saper mangiare! L’Italia del Rinascimento
fiorentino, del Poliziano, di quell'incredibile momento fra la fine del 1400 e
l’inizio del 1500 che ha visto incrociarsi Leonardo e il giovane Michelangelo …
l'Italia che nell'Ottocento ha regalato al mondo Giuseppe Verdi e nel Novecento
Goffredo Petrassi e il Quartetto Italiano ...
La storia dell’arte è il catalogo dei
fenomeni dell’anima. Proviamo a pensare che i classici al di là dello spazio e
del tempo davvero parlino di noi, davvero parlino a noi, lasciamo da parte il
ricordo annoiato di inutili anni di scuola. L’esperienza della bellezza sta
proprio in questo, nel vedere rappresentata la nostra realtà umana illuminata
dalla grazia, dalla profondità dello sguardo, dalla tenerezza. La bellezza ci
capisce profondamente, ci legittima, perché è la più libera dimora dell’anima...
Giorgio Moschetti