mercoledì 25 marzo 2015

ANCORA SULL'ESSERE AUTENTICO, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL MODO D'AMORE


E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Sentirsi autentici diventa dunque un continuo percorso di riflessione, di maturazione e di lavoro su di sé. Così scrivevamo su queste pagine  nell'ultimo articolo parlando di autenticità. Vorremmo oggi continuare  questo discorso, lettrice attenta e lettore paziente, con attenzione al ruolo del modo d'amore nell'essere autentici. Quel modo di amore, di cui già abbiamo parlato, che solo può garantire che la relazione fra noi, perno di ogni vita sociale, divenga cura e impegno per la bellezza della nostra presenza. 
Tutti noi siamo frutto dell’amore: in un modo o nell'altro, talvolta solo carnalmente e altre volte non solo. Se siamo stati fortunati, siamo nati e cresciuti in un’atmosfera d’amore: agli inizi l’amore dei nostri genitori, o di chi ne ha fatto le veci, attraverso carezze, sguardi, tenerezze ci ha permesso di non frammentarci, di non andare in pezzi, di tenere insieme e organizzare i frammenti del nostro vivere e fare esperienza fin quando più tardi avremmo finalmente iniziato a dire “io”. Poi l’amore che ci ha circondato, compiacendosi nello scoprire i nostri talenti e dell’estendersi del nostro potere, ha permesso che crescessimo sviluppandoli. Ancora l'amore ha consentito infine che da grandi ci manifestassimo liberamente.

Se siamo stati fortunati! Altrimenti – e quante volte! – tutto ciò, o parte di ciò non è accaduto.

Ma ognuno di noi, fortunato o meno, rimane una Persona: cosmo unico e irripetibile, le cui bellezze possono essere rivelate e scoperte solo dall'amore. Quell'amore, se lo sappiamo trovare e tener vivo  in noi nel tormentato corso della vita, quell'amore ci può guidare ogni giorno in ogni gesto, in ogni relazione umana, solo la sua presenza può rendere davvero autentico ogni atteggiamento verso l’altro. Autenticità di relazione è esserci totalmente, stare con pienezza nella relazione con l’altro,  nella chiara consapevolezza della reciproca influenza trasformativa, del cambiamento e rinnovamento che ogni autentico incontro comporta. 
Volgiamoci per un momento, come facciamo spesso in queste righe, alla grande sofferenza mentale. Per prendersene davvero cura è indispensabile sviluppare il modo d’amore, l'unico modo dell'umano che sa discernere con lucida intelligenza in profondità, che attento a non espropriarla rispetta l’intimità dell’altro, che sa accoglierne e rispettarne la differenze, unico contenitore che gli consente di “tenersi insieme”. Solo il modo d'amore, che è compito primario del terapeuta saper trovare e stabilmente mantenere in sé , solo questo aiuta autenticamente i “malati” a unificare in una identità stabile, centro di valore, il caos di esperienze fluttuanti nel quale si sentono frammentati e dispersi. E sempre solo con il modo d’amore il terapeuta può accompagnarli a sentirsi (perché li riconosce e li conferma in quanto tali), autori dei propri atti, fonte delle proprie scelte, origine del proprio sentire; può accompagnarli a sperimentare il vivere almeno qualche volta come conferma, riuscita, successo, come gioia, come pienezza di significato. Per prendersi cura della grande sofferenza mentale occorre sapersi compiacere intimamente della presenza del “malato”, viverla come fonte allo stesso tempo di gioia e tenerezza (perché centro di valore), alla maniera della madre che ama comunque i propri figli solo perché esistono, e poi alla maniera del padre che gioisce a veder sviluppate le competenze. Occorre nutrire fiducia ad oltranza nell’emergere della Persona dal caos psicotico e compiacersi al crescere del potere del “malato”, anche nei confronti del terapeuta, il quale deve permettere serenamente questa indispensabile traslazione di potere, che in fin dei conti è il suo obiettivo primario. Il modo d'amore svela i bisogni inespressi, scopre i talenti nascosti, certo insieme all'opportuna distanza che permette all'altro di riconoscere e prendere coscienza dei suoi bisogni esprimendoli; ma è anche capacità di severità nel richiamare al vivere e al convivere nel rispetto delle regole comuni; capacità di fermezza dello stabilire i confini fra i ruoli; capacità di dire sì e di dire no.

Ora tutto questo riguarda soltanto il prendersi cura della grande sofferenza mentale e non ha alcuna rilevanza per la nostra normale vita quotidiana? O piuttosto se fra noi sapessimo comportarci così, la vita non diventerebbe forse una gioia continua? E non varrebbe la pena di sopportare tutti i dolori di questo mondo, se noi sapessimo stare così fra noi nel modo d'amore?
Questo modo di stare insieme non deve limitarsi al contesto terapeutico: nel senso che lo stesso amore propizia ciascuno di noi a dare il meglio di sé, a manifestare appieno la propria unicità, nelle relazioni normali quotidiane con l’altro. Il relazionarsi è farsi permeabile all’altro, in apparenza diverso e distante da noi, ma sempre Persona, come lo siamo noi, è consentire che la tua presenza mi trasformi facendo emergere la parte più autentica di me.
La qualità di questo legame di relazione fa sì che ci si formi e trasformi reciprocamente alla luce di ogni intenso scambio affettivo. Comunicare con autenticità è donare all’altro la consapevolezza del proprio essere con fiducia; è essere veramente capaci di entrare in relazione in una dimensione di profondo rispetto e ascolto empatico con l’altro ... Ma prima occorre essere in tale modo con noi stessi, come diceva la nostra collega la volta scorsa, poiché anche se animati dalle migliori intenzioni non possiamo dare agli altri ciò che noi stessi non abbiamo riscoperto in noi. E’ importante riscoprire in noi e divenire consapevoli della lucida intelligenza del modo d'amore, indispensabile per rendere creativa qualunque relazione. Così si può  rifiorire. Tutti noi.

Elena Tosatti e Giorgio Moschetti