venerdì 7 novembre 2014

SUL POTERE NEL PRENDERSI CURA (DEGLI ALTRI E DI SE')

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose



Cara lettrice, caro lettore, oggi vorrei riflettere con voi sul potere, in particolare sul potere di chi assiste, cura, si prodiga, dà, sul potere del guaritore, del terapeuta, al quale in genere si attribuisce valore simbolico di sacrificio, altruismo, sensibilità.
A ben pensare la maggior parte delle professioni è o dovrebbe essere in qualche modo al servizio della salute e del benessere dell’uomo: tuttavia le attività connesse al prendersi cura, quelle terapeutiche per intenderci, dello psicoterapeuta come del sacerdote, dell’insegnante come del medico, dell’assistente sociale, dell’educatore richiedono atteggiamenti e impegno particolari, diretti inequivocabilmente ad aiutare gli infelici, gli ammalati e tutti coloro che in qualche modo abbiano smarrito il loro cammino. In queste figure entra in gioco, in maggiore o minor misura, l’immagine del guaritore, di colui che si prende cura.
C. G. Jung chiama archetipi queste immagini interne, originali, primordiali, sorta di modelli interiori di comportamento; e chiunque abbracci nella propria vita il compito tutt’altro che leggero dell'assistere, del guarire, dovrà aver a che fare con l'archetipo del guaritore. Esso si fonda su due poli, su due possibilità intrinseche dell'essere umano, della Persona. Ogni Persona può essere malata, stressata, disorientata, incapace di far fronte alla propria vita; viceversa ogni Persona può anche lenire con la carezza, guarire.
Chi assume un ruolo terapeutico non può considerarsi veramente guaritore se non conosce la malattia, la sofferenza, se non le riconosce nel suo intimo: deve avere – chi non ce l'ha? – e soprattutto riconoscere la propria ferita dentro di sé. Il suo interesse per il prendersi cura nasce proprio dalla consapevolezza che ogni vita, umana e non, è esposta a sofferenza, a malattia, a smarrimento. Per curare e assistere l'altro il guaritore deve conoscerla, la sofferenza: come può farlo, se non conoscendo la propria? Egli al pari del malato è esposto a sofferenza, a malattia, a smarrimento. Ma sa dialogare con essi, almeno si spera, sa riconoscerne la natura di importanti occasioni perché la Persona venga alla luce nella sua pienezza, sa trovarne un senso in relazione al suo cammino di vita. Questo può offrire al sofferente, e non è poco.
Ma il potere, dov’è in tutto ciò? Certo il guaritore, proprio per quello che hai appena letto, ha molto potere nei confronti del sofferente, potere ingigantito dal bisogno e dalla sofferenza stessa dell'altro. 
E in questo grande potere si annida per il terapeuta il grande rischio di sentirsi superiore al paziente, di squalificarne ogni dubbio o parola perché parola del malato, quindi sintomo, quindi segno di malattia, o comunque parola di incompetente, di non addetto ai lavori. È questa l’ombra del terapeuta: è importante – di più, indispensabile – che il terapeuta conservi memoria della propria ferita e sappia sempre che curando gli altri sta anche curando la propria malattia, il proprio malessere personale, esistenziale. Più il terapeuta crede di essere sano, immune dalla fragilità, più vedrà il "guasto" soltanto in chi gli sta di fronte e più crescerà la distanza tra i poli dell’archetipo ferito - guaritore, distanza che invece deve attenuarsi. Il rischio per lui sarà di istallarsi sull'unico polo del guaritore, con il quale finirà per identificarsi, sbarazzandosi così della propria umana realtà, della propria debolezza, che saranno invece proiettate su chi gli sta vicino, sui pazienti, sui colleghi, sui familiari, gli amici. Sappiamo che la parte repressa dell’archetipo è sempre proiettata inconsciamente sul mondo esterno; il paziente invece tenderà a proiettare sul terapeuta il proprio guaritore interno, la sua parte non riconosciuta che lo salverebbe, la attribuirà tutta a lui anziché svilupparla riconoscendola come indispensabile aspetto salvifico di sé. Ogni terapeuta corre il rischio di identificarsi con i propri strumenti dimenticando la propria fragilità, tanto più quanto più si affanna ad accumular strumenti e tecniche trascurando il rapporto con la propria sofferenza. In realtà, identificandosi con la salute, il potere, la forza, egli corre il rischio di diventare ancora più inconscio del suo paziente. Il linguaggio del potere infatti gli insegna tutti i trucchi per difendersi, negare e rimuovere la sua ombra segreta (la sua fragilità, i suoi disturbi, le sue incertezze). E questa rimozione gli renderà impossibile avere un rapporto vero con la propria psiche profonda, nonché autentici rapporti umani.
Jung considera questa inflazione psicologica quasi un passaggio obbligato, una seduzione inevitabile con cui ogni terapeuta deve fare i conti sulla strada dell’integrazione dei contenuti dell’inconscio. Nel suo saggio intitolato "L’Io e l’inconscio" scrive: "non ho ancora assistito a uno sviluppo più o meno progredito di un processo analitico di questo genere, dove non avvenisse almeno temporaneamente un’identificazione con l’archetipo della personalità mana", in cui cioè il guaritore nella forma di eroe, mago, medico, santo o capo tribù, non perdesse almeno temporaneamente il contatto con la propria fragilità.
L’archetipo ferito-guaritore abita il mondo interno di ognuno di noi, anche di te che stai leggendo in questo momento: se presti un po’ d’attenzione a come a volte ti poni nei confronti degli altri, se con un piccolo sforzo ti dici proprio le cose come stanno, se sei sincero e onesto con te stesso, noterai che questo rischio è anche affar tuo, come lo è per chiunque debba gestire del potere. Ma è difficile da riconoscere e da ammettere. Questo rischio, al pari delle altre ombre che albergano dentro di noi, deve esserci ben presente, non deve essere occultato a noi stessi ma al contrario è nostro dovere tenerlo sempre ben presente. Quando disponiamo di un potere, a maggior ragione se di un potere grande, dobbiamo sempre sapere con chiarezza cosa vogliamo farne, di quel potere, come indirizzarlo. Il potere del guaritore è il potere del sofferente che questi non riconosce in sé e proietta sul terapeuta. È dovere del guaritore trasferirlo, restituirlo al sofferente, operare in modo che il proprio potere diminuisca e quello dell'altro aumenti. Il potere non è mai nostro, passa soltanto per le nostre mani e deve andare verso quelle di coloro che ne hanno di meno.

Andrea Montagnini