E poi che la sua mano a la mia puose, con lieto volto, ond'io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose |
Cara lettrice,
caro lettore, oggi vorrei riflettere con voi sul potere, in particolare sul
potere di chi assiste, cura, si prodiga, dà, sul potere del guaritore, del
terapeuta, al quale in genere si attribuisce valore simbolico di sacrificio,
altruismo, sensibilità.
A ben pensare
la maggior parte delle professioni è o dovrebbe essere in qualche modo al
servizio della salute e del benessere dell’uomo: tuttavia le attività connesse
al prendersi cura, quelle terapeutiche per intenderci, dello psicoterapeuta
come del sacerdote, dell’insegnante come del medico, dell’assistente sociale,
dell’educatore richiedono atteggiamenti e impegno particolari, diretti
inequivocabilmente ad aiutare gli infelici, gli ammalati e tutti coloro che in
qualche modo abbiano smarrito il loro cammino. In queste figure entra in gioco,
in maggiore o minor misura, l’immagine del guaritore, di colui che si prende
cura.
C. G. Jung
chiama archetipi queste immagini interne, originali, primordiali, sorta di
modelli interiori di comportamento; e chiunque abbracci nella propria vita il
compito tutt’altro che leggero dell'assistere, del guarire, dovrà aver a che
fare con l'archetipo del guaritore. Esso si fonda su due poli, su due
possibilità intrinseche dell'essere umano, della Persona. Ogni Persona può
essere malata, stressata, disorientata, incapace di far fronte alla propria
vita; viceversa ogni Persona può anche lenire con la carezza, guarire.
Chi assume un
ruolo terapeutico non può considerarsi veramente guaritore se non conosce la
malattia, la sofferenza, se non le riconosce nel suo intimo: deve avere – chi
non ce l'ha? – e soprattutto riconoscere la propria ferita dentro di sé. Il suo
interesse per il prendersi cura nasce proprio dalla consapevolezza che ogni
vita, umana e non, è esposta a sofferenza, a malattia, a smarrimento. Per
curare e assistere l'altro il guaritore deve conoscerla, la sofferenza: come
può farlo, se non conoscendo la propria? Egli al pari del malato è esposto a
sofferenza, a malattia, a smarrimento. Ma sa dialogare con essi, almeno si
spera, sa riconoscerne la natura di importanti occasioni perché la Persona
venga alla luce nella sua pienezza, sa trovarne un senso in relazione al suo
cammino di vita. Questo può offrire al sofferente, e non è poco.
Ma il potere,
dov’è in tutto ciò? Certo il guaritore, proprio per quello che hai appena
letto, ha molto potere nei confronti del sofferente, potere ingigantito dal
bisogno e dalla sofferenza stessa dell'altro.
E in questo
grande potere si annida per il terapeuta il grande rischio di sentirsi
superiore al paziente, di squalificarne ogni dubbio o parola perché parola del
malato, quindi sintomo, quindi segno di malattia, o comunque parola di
incompetente, di non addetto ai lavori. È questa l’ombra del terapeuta: è
importante – di più, indispensabile – che il
terapeuta conservi memoria della propria ferita e sappia sempre che curando gli
altri sta anche curando la propria malattia, il proprio malessere personale,
esistenziale. Più il terapeuta crede di essere sano, immune dalla fragilità,
più vedrà il "guasto" soltanto in chi gli sta di fronte e più
crescerà la distanza tra i poli dell’archetipo ferito - guaritore, distanza che
invece deve attenuarsi. Il rischio per lui sarà di istallarsi sull'unico polo
del guaritore, con il quale finirà per identificarsi, sbarazzandosi così della
propria umana realtà, della propria debolezza, che saranno invece proiettate su
chi gli sta vicino, sui pazienti, sui colleghi, sui familiari, gli amici.
Sappiamo che la parte repressa dell’archetipo è sempre proiettata
inconsciamente sul mondo esterno; il paziente invece tenderà
a proiettare sul terapeuta il proprio guaritore interno, la sua parte non
riconosciuta che lo salverebbe, la attribuirà tutta a lui anziché svilupparla
riconoscendola come indispensabile aspetto salvifico di sé. Ogni terapeuta
corre il rischio di identificarsi con i propri strumenti dimenticando la
propria fragilità, tanto più quanto più si affanna ad accumular strumenti e
tecniche trascurando il rapporto con la propria sofferenza. In realtà,
identificandosi con la salute, il potere, la forza, egli corre il rischio di
diventare ancora più inconscio del suo paziente. Il linguaggio del potere
infatti gli insegna tutti i trucchi per difendersi, negare e rimuovere la sua
ombra segreta (la sua fragilità, i suoi disturbi, le sue incertezze). E questa
rimozione gli renderà impossibile avere un rapporto vero con la propria psiche
profonda, nonché autentici rapporti umani.
Jung considera
questa inflazione psicologica quasi un passaggio obbligato, una seduzione
inevitabile con cui ogni terapeuta deve fare i conti sulla strada
dell’integrazione dei contenuti dell’inconscio. Nel suo saggio intitolato
"L’Io e l’inconscio" scrive: "non ho ancora assistito a uno
sviluppo più o meno progredito di un processo analitico di questo genere, dove
non avvenisse almeno temporaneamente un’identificazione con l’archetipo della
personalità mana", in cui cioè il guaritore nella forma di eroe, mago,
medico, santo o capo tribù, non perdesse almeno temporaneamente il contatto con
la propria fragilità.
L’archetipo
ferito-guaritore abita il mondo interno di ognuno di noi, anche di te che stai
leggendo in questo momento: se presti un po’ d’attenzione a come a volte ti
poni nei confronti degli altri, se con un piccolo sforzo ti dici proprio le
cose come stanno, se sei sincero e onesto con te stesso, noterai che questo
rischio è anche affar tuo, come lo è per chiunque debba gestire del potere. Ma
è difficile da riconoscere e da ammettere. Questo rischio, al pari delle altre
ombre che albergano dentro di noi, deve esserci ben presente, non deve essere
occultato a noi stessi ma al contrario è nostro dovere tenerlo sempre ben
presente. Quando disponiamo di un potere, a maggior ragione se di un potere
grande, dobbiamo sempre sapere con chiarezza cosa vogliamo farne, di quel
potere, come indirizzarlo. Il potere del guaritore è il potere del sofferente
che questi non riconosce in sé e proietta sul terapeuta. È dovere del guaritore
trasferirlo, restituirlo al sofferente, operare in modo che il proprio potere
diminuisca e quello dell'altro aumenti. Il potere non è mai nostro, passa
soltanto per le nostre mani e deve andare verso quelle di coloro che ne hanno
di meno.
Andrea
Montagnini