mercoledì 10 febbraio 2016

IN VIAGGIO



E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Quando partirai, diretto a Itaca, 
che il tuo viaggio sia lungo
ricco di avventure e di conoscenza.
...
Non aspettarti che Itaca ti dia altre ricchezze.
Itaca ti ha già dato un bel viaggio;
senza Itaca, tu non saresti mai partito.
Essa ti ha già dato tutto, e null’altro può darti”.



Quante volte ci è capitato di vagheggiare un viaggio in qualche località che ci pareva irraggiungibile e quanto ci siamo impegnati per progettare e organizzare tutto al meglio? Quanta fatica ed energia abbiamo messo nel nostro progetto, nel sogno della nostra vita! Pian piano l’idea prendeva corpo nella nostra mente e nella nostra immaginazione, ogni volta arricchita di particolari e dettagli che ne rendevano sempre più desiderabile la sua realizzazione, fino al giorno tanto atteso: finalmente si parte!
Il viaggio che ci ha condotto a destinazione ci ha sfiniti, gli imprevisti durante il tragitto sono stati numerosi, spesso mal tollerati e vissuti con impazienza ma, una volta giunti sul posto, abbiamo potuto godere della nostra personale conquista, oppure siamo rimasti delusi e le aspettative non hanno trovato un riscontro effettivo nella realtà. Ne è valsa davvero la pena, potremmo domandarci?

La simbologia del viaggio ci accompagna costantemente durante la vita, in maniera neanche troppo metaforica, e sul biglietto che ci viene consegnato alla partenza non vi è nemmeno scritta la destinazione – completamente a nostro carico – cosa che possiamo vivere come un limite oppure come un’opportunità. Certo è difficile in un momento storico come il nostro – in cui domina la precarietà nel senso più generale ed esteso ai più svariati ambiti della vita – pensare che davanti a noi ci siano opportunità da cogliere.

Siamo spesso tentati di considerare degli ostacoli, che scavalchiamo frettolosamente tirando un sospiro di sollievo al loro superamento, le esperienze che affrontiamo durante l’impegnativo percorso, protesi come siamo verso la meta, alla dirittura d’arrivo, al momento in cui taglieremo il traguardo e quando ci renderemo conto di doverci nuovamente posizionare al via per una nuova partenza.

Pensavamo finalmente di potercene stare un po’ tranquilli a godere della nostra conquista, ad assaporare quanto abbiamo fortemente voluto: questo nella migliore delle ipotesi.

E quando invece le nostre fatiche sembrano essere state spese invano? Dico sembrano perché, a pensarci bene, potrebbe anche non essere così, ma solo a patto che non confondiamo il mezzo con il fine.

Credo che in molti abbiano sperimentato la sensazione di vuoto che segue ad un progetto studiato nei minimi dettagli – per il quale abbiamo speso energie emotive, mentali, fisiche – e che al momento della realizzazione sfuma dinanzi a noi o va incontro ad un fallimento: “Non è giusto, avevo messo il massimo impegno e questo è il risultato!

La prossima volta non mi metterò più in gioco fino a questo punto, perché non serve assolutamente a nulla.”

E’ il rischio di ogni partenza e forse è per questo che alcuni non partono mai e poiché non partono non arrivano da nessuna parte.
Dunque il fine per il quale abbiamo lavorato duramente è il raggiungimento della mèta?
Pensiamo alla fatica di quanti vogliono raggiungere la vetta di una montagna: sicuramente i duri allenamenti che precedono l’impresa, gli sforzi e i rischi connessi con quest’ultima non possono essere considerati un semplice mezzo asservito ad un fine, vale a dire la cima tanto agognata.

Il coinvolgimento fisico ed emotivo ha dato origine ad una trasformazione in colui che si è adoperato in modo tanto appassionato e la vetta della montagna è solo l’apice di questa impresa, iniziata in realtà molto tempo prima.

Quando si presenta un progetto, in esso si è soliti indicare le finalità e gli obiettivi che si intendono perseguire, i quali sono dunque già presenti e che hanno già dato origine ad un cambiamento profondo che ci apprestiamo a condividere e ad esplicitare, rendendo pubbliche le nostre intenzioni.

Il progetto è esso stesso il fine, perché frutto di un percorso che abbiamo seguito con passione e convinzione, nel tempo, un tempo a volte lungo e interminabile.

Come non pensare ad una “partenza” senza parlare di tempo, in un’epoca in cui efficienza e ottimizzazione delle tempistiche trovano un posto di rilievo? La vita è breve e dunque intendiamo sfruttare ogni attimo a disposizione, anche a costo di vivere in maniera concitata, talora anestetizzata. Gli antichi greci avevano due modi per indicare il tempo: chronos era il tempo misurabile, che trascorre inesorabile, mentre kairòs era il tempo giusto, opportuno relativamente al quale nessuna fatica è resa inutile.

Allora mettiamoci comodi, assaporiamo con la mente e il cuore i paesaggi che incontriamo durante il tragitto, non attendiamo con ansia l’arrivo, perché un approdo in ogni caso ci sarà. E’ il modo in cui avremo affrontato il percorso a fare la differenza e ...

Se infine troverai che Itaca è povera, 
non pensare che ti abbia ingannato.
Perché sei divenuto saggio, hai vissuto una vita intensa,
e questo è il significato di Itaca”.

K. Kavafis [1863-1933], Itaca 

Buon viaggio!

Monica Ramazzina

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