E poi che la sua mano a la mia puose, con lieto volto, ond'io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose |
Immediatamente, appena veniamo al mondo, gridiamo con
la voce, o meglio con il pianto, la nostra presenza. Fin dall'inizio dunque la
voce rappresenta il modo più semplice ed immediato, ma a volte molto
complicato, per esprimere noi stessi e i nostri bisogni. Iniziamo a farlo attraverso
il pianto fino a imparare a modulare la nostra voce e a differenziarla in base a ciò che vogliamo o dobbiamo
esprimere: gioia, dolore, stupore, angoscia. La voce parlata si delinea e già
esprime assai prima di apprendere qualsiasi articolazione pertinente al
linguaggio; essa origina nella primissima infanzia sotto forma di imitazione di
ciò che sentiamo intorno a noi. Pensiamo a tal proposito a quanto è importante
per il neonato la voce della madre, che riconosce immediatamente in mezzo a
molte. Essa rappresenta per lui non solo la sicurezza della presenza di lei ma
anche addirittura dell'esistenza di lui stesso, è nel risuonare della voce
materna che lui si accorge del proprio esserci, essa quasi lo fa venire al
mondo, e grazie ad essa egli riuscirà ad organizzarsi e ad esprimersi in
futuro.
La voce ci serve per comunicare con gli altri, lascia
tracce di noi stessi, lancia segnali, richiami, esprime i nostri desideri, ci
fa stabilire un contatto con gli altri. Attraverso di essa ci apriamo agli
altri, mostriamo noi stessi, lasciamo trapelare molti aspetti che l'ascoltatore,
purché attento, potrà cogliere. Quante volte fingiamo di essere felici o indifferenti
di fronte ad un avvenimento ma la voce ci tradisce, ovvero fa trasparire ciò che
forse vorremmo nascondere e non ammettere agli altri e nemmeno a noi stessi. La voce esprime fedelmente la nostra presenza e
rispecchia le nostre lesioni più profonde, ci rivela agli altri nella nostra totalità, ci mostra nudi
al mondo. Essa può sedurre, incutere paura, sfogare il dolore, la gioia, essa è
una cosa sola con il nostro Essere Umani.
Oltre a permetterci di relazionarci con gli altri, la
voce ci relaziona con noi stessi, è strettamente legata al nostro corpo da cui
è generata e a cui ritorna come eco. Essa è, infatti, sentita dagli altri nel
suo prodursi ed è sentita da noi sia attraverso le trombe di Eustachio sia
dall'esterno, sicché il produrla è sempre controllato e modificato alla luce del
sentirla. La voce e il respiro sono strettamente collegati, essa non può
prescindere dall'aria; e la respirazione è il nostro scambio più immediato con
il mondo. La voce è flatus, respiro, soffio vitale, testimonianza di una
presenza, della vita; essa si sente, è il dentro fuori di noi, chiave psicologica della
conoscenza dell'interiorità. Essa è affermazione dell'identità di ognuno di
noi, dichiara la nostra presenza, è la nostra firma al mondo, ogni voce è
testimonianza di un Esserci!
La voce porta con sé e in sé la nostra storia e il
nostro essere nel mondo, variando da persona a persona: come non troveremo mai due
volti identici, così mai troveremo due voci identiche. La nostra storia e il
nostro modo di essere rivivono attraverso la voce: ne è testimonianza la
varietà di modalità espressive che possiamo usare, diverse in ognuno di noi.
Quante volte abbiamo a che fare con persone che parlando a bassa voce ci
rivelano la loro insicurezza, il loro timo re di fondo, la loro riluttanza ad
aprirsi all'altro, mentre invece persone sicure parlano con voce forte e
chiara. Queste differenze sono amplificate nella patologia: si pensi che se per
molti pazienti è una seria difficoltà essere visti dagli altri, per alcuni è
ancora più insopportabile essere uditi. Questi pazienti tendono a parlare molto
piano, molto poco e alcuni smettono addirittura di farlo, quasi per paura di essere
sentiti e colti nella loro fragilità, insicurezza e sofferenza, quasi a
testimoniare un momentaneo e, a volte, definitivo Non Esserci. La persona sente
quanto la voce la riveli e la esponga ai rischi del mondo e quindi mette in
atto un atteggiamento volto al silenzio, una chiusura, un non permettere che la
voce esca, quasi in segno di protesta al mondo, ad un mondo che a suo tempo non
ha saputo o voluto o potuto ascoltare.
Io ho capito in prima persona l'importanza della voce,
e quanto essa sia testimonianza nel nostro Esserci, quando tempo fa mi avvicinai
al canto. Sono sempre stata molto attratta da questa disciplina, ma per anni ero
spaventata e diffidente, sempre scoraggiata dalla convinzione “sono stonata”,
“non fa per me”. Solo nel mio graduale avvicinarla ho avvertito poco alla volta
come nella mia voce risuonasse tutta la mia insicurezza, come il mio timore del
canto fosse una cosa sola con il mio timore del mondo, ed ecco il mio rifugiarmi
nel silenzio, nel non usarla, la voce. E la convinzione “sono stonata” costituiva
tutto sommato una rassicurante sicurezza che mi esimeva dall'affrontare di
petto la difficoltà. Solo passo passo scoprii che lavorare sulla voce,
scoprirla gradualmente e dolcemente era una cosa sola con il rafforzare la mia
sicurezza nello stare al mondo.
Per mesi ho cantato sotto voce, temendo che gli altri
mi sentissero e mi cogliessero in errore, nascondendomi dietro le altre voci del gruppo
fino a che, un giorno, a forza di esercitarmi e prendere maggiore confidenza con
il mio corpo e con me stessa sono riuscita ad apprezzarla almeno un poco, la
mia voce, firma della mia presenza, e a prendere un poco di gusto nel lasciarla
risuonare, nel permettere che occupi una stanza, nel permettere che altri la
sentano. Questo era la mia preoccupazione maggiore: la paura di espormi con la
mia voce al silenzio degli altri, una sorta di esperienza di nudità ingestibile.
Ora canto a voce semi-alta, mi sento meglio con me stessa e un poco più sicura
di me. Aveva proprio ragione Rilke nei Sonetti a Orfeo: “cantare é esserci”.
Tamara Da Canal
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