E poi che la sua mano a la mia puose, con lieto volto, ond'io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose |
Cara lettrice, caro lettore,
vorrei iniziare questo nostro piccolo dialogo dicendovi prima di tutto chi sono
e su cosa cercherò di riflettere insieme a voi. Sto per laurearmi in psicologia:
da una parte sono contenta del compito che mi viene affidato, scrivere questo
articolo, ma dall'altra sono anche un po' preoccupata, per la mia giovane età,
per la mia poca esperienza nello scrivere, soprattutto su un tema così importante,
per me e credo anche per te, quale l'unicità della Persona, di ciascuno di noi.
Cercherò quindi di esporti i miei
pensieri, nella speranza che siano anche un po' i tuoi e che suscitino in te
qualche emozione e, perché no? il desiderio di rispondere a queste mie righe.
Sai, la prima cosa che mi viene
in mente quando mi trovo a riflettere sull'unicità, sull'essere unici - proprio
esattamente come me non c'è nessuno, ma neanche esattamente come te, possiamo
qualche volta somigliarci tanto ed essere anche gemelli, ma tu guardi sempre il
mondo da un punto diverso dal mio e in quel punto ci sei solo tu, quel punto
sei tu e nessun altro può occuparlo - scusami il lungo inciso: ti dicevo, la prima
cosa che mi viene in mente, quando penso all'unicità, è il momento
"magico" della nascita. Nascendo, siamo subito di fronte alla prima
esperienza di unicità, occupiamo un piccolo posto nel mondo, in quel posto e a
quell'ora, che nessun altro occuperà mai più in futuro e non ha neppure mai
occupato in passato.
Sembra una cosa ovvia, no?
persino banale, ma non ti sembra lo stesso stupefacente?
Non nascerà mai più una Persona
come te: con i tuoi tratti, il tuo temperamento, il tuo carattere bello o
brutto che sia, le tue particolarità, le tue tenerezze, le tue simpatie e antipatie,
i tuoi slanci, le tue tristezze. Tu eri unico già allora, quando venisti al
mondo, anche senza aver ancora compiuto alcuna impresa memorabile e neppure
banale.
Ovviamente la tua unicità non si
limita al nascere - sembra proprio che non sia un fatto tanto raro ed
esclusivo, nascere - ma, ti ripeto, da quel posto, a quell'ora, comincia qualcosa
che premerà dentro di te per tutta la vita e ti costringerà, volente o nolente
a essere, anzi a diventare quello che sei nel tuo particolare modo di essere,
di esprimerti, di ricercarti e di trovarti, così caratteristico, così diverso
da quello di chiunque altro.
Comincia qualcosa, in quel posto
e a quell'ora, di unico e prezioso, che però, attenzione, è destinato a
scomparire e anche a morire senza un TU che lo riconosca per quello che è, che
gli dica "questo sei tu!".
Come afferma Jessica Benjamin
(1995), senza il riconoscimento dell'altro noi non potremmo mai, non solo
essere, ma neppure sentirci noi stessi. L'autrice lo dice riferendosi alla
prima relazione intima della nostra vita, quella con la madre e ricordando
l'importanza estrema che essa svolge per il nostro sviluppo e la nostra
sicurezza. Penso a due modi dell'amore già presenti in questa relazione
primaria e che potranno ripresentarsi in quelle future: una mamma guarda il suo
bimbo, lo riconosce e lo ama per quello che è, perché è lui; oppure una mamma
elogia e gratifica il suo bambino quando questi supera se stesso e compie
qualche impresa particolare. La mamma del "ti amo perché ci sei", e
la mamma del "ti amo per quello che fai". Si tratta di forme d'amore
complementari, entrambe necessarie, ma che devono essere presenti in un
delicato equilibrio, senza che nessuna delle due soffochi l'altra: certo,
l'aspetto volto al rinforzare e all'incentivare il bambino a fare del suo
meglio è importante e deve essere presente nella relazione. Ma se è eccessivo,
se spinge soltanto alla competizione, se spinge soprattutto a vincere contro
l'altro (e quindi a combatterlo!), se fa dimenticare l'importanza del cooperare
fa anche dimenticare che l'altro, il tu, è aspetto fondante della mia stessa
identità. Allora i pericoli sono grandi: rischiamo di cadere in una frequente confusione,
quella di associare l'unicità di una Persona al primato che essa ha in un determinato
ambito (quante volte sentiamo dire "sei unico" riferito ad una
particolare dote canora, calcistica.). Ma la nostra unicità è una questione di
qualità, siamo unici per l'irripetibile combinazione di qualità che ci
caratterizza, mentre il primato è questione di quantità. È ben diverso sentirsi
unici per ciò che siamo dal sentirci unici quando siamo in cima alla classifica
e abbia vinto sull'altro.
Ma come fa l'altro, il tu, a
essere specchio fondante della mia identità se lo vedo sempre solo nell'ottica
del vincere-perdere, del primato a tutti i costi, della competizione? Noi non
possiamo fare a meno dello sguardo degli altri, del loro punto di vista.
Ciascuno di noi, tu, io, lui è un balcone sull'universo, ci rivolgiamo agli
altri, interagiamo continuamente con loro e ne abbiamo bisogno, abbiamo bisogno
di tutti gli altri balconi per poter crescere ed esprimerci, ognuno ci è
prezioso per allargare il nostro punto di vista e vedere ciò che da soli non
possiamo vedere. Il mio punto di vista, ciò che vedo da quel balcone è un
piccolo settore, e io non vedo quello che vedi tu e il tuo punto di vista, sicuramente
diverso dal mio, mi è unico, prezioso e mi arricchisce.
Unicità non significa primato,
neppure perfezione. Significa singolarissima combinazione di qualità,
intrinseca in ognuno di noi, significa firma di un particolare modo di essere e
di stare al mondo, che non ha eguali. Dell'essere tu, lettrice o lettore, ce n'è
proprio solo uno al mondo e se lo dimentichi, se dimentichi il tuo valore, il
tuo sconfinato valore, la tua vita appassisce! Spero di aver mosso qualcosa
dentro di te e sarei proprio contenta di ricevere poche righe (o tante, se
vuoi) per sapere come la pensi tu al riguardo. Per tutto l'articolo mi hai
sentito parlare dell'importanza dell'altro e del suo punto di vista per
completare il nostro. Quindi ora ti invito a farlo, per completare il mio. Se
ti va, ovviamente!
Tamara Da Canal e Giorgio Moschetti
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