mercoledì 18 novembre 2015

ASSAPORARE IL SILENZIO



E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Parte prima: frastuono, vortici di attivismo e silenzi 

Passa un’automobile nella strada sotto casa: un’autoradio a tutto volume, un Ritmo martellante e parole urlate invadono lo spazio di tutti.
Entri in un supermercato, in un grande negozio: anche lì da una radio a tutto volume ti arrivano parole veloci e incalzanti su contenuti per lo più scontati o insignificanti e vacui che apparentemente sembrano tessere dialoghi vitali, in realtà sono un continuo cicaleccio di parole vane. Per non parlare dei modi di celebrare collettivamente la festa: i botti di capodanno, i clacson per la vittoria di una squadra di calcio, il luna park di una festa patronale.
I titoli dei quotidiani talvolta ci dicono che per l’esasperazione da rumore si può anche uccidere.
E per fortuna esiste tutto un universo sonoro che il nostro orecchio non riesce a percepire: sono gli ultrasuoni e gli infrasuoni con frequenze troppo alte o troppo basse.
Mi dice un’adolescente: < Quando torno a casa da scuola e resto sola perché i miei genitori sono al lavoro, accendo la tv mentre pranzo, per riposarmi, mentre studio, quando telefono alla mia amica... così per tutto il pomeriggio.> < Perché? > dico io. < Perché mi fa compagnia > risponde.
Dunque, non sappiamo più lasciarci ospitare dal silenzio? Ci disorienta sostare in questo spazio senza confini?
È vero: il silenzio può essere fuga dal mondo, isolamento, solitudine, emarginazione, inquietudine, indifferenza, rancore, autismo, ricatto, reticenza, omertà. C’è il silenzio dell’immigrato che non conosce la lingua e quello imposto dalle dittature e dalle mafie; c’è il silenzio della malattia che si affronta da soli, il silenzio della morte, della depressione, del suicidio, della miseria. Alcuni credenti in momenti tragici della vita e della storia avvertono anche il silenzio di Dio.
Eppure ci sono vari silenzi portatori di significati positivi anche profondi, come ad esempio nei rapporti di amicizia e d’amore. C’è il silenzio di chi è concentrato, di chi è prudente, di chi è paziente. C’è il silenzio del mistico davanti a Dio o di chi è raccolto in preghiera: è in questo caso il simbolo della comunicazione assoluta. E così c’è il silenzio del monaco: il grande silenzio (come è ben raccontato nel film di P. Gröning). Il silenzio è calma, pacatezza, assenza di agitazione. Si può coglierlo in tutta la grande arte, nella musica e persino nella pittura e nella scultura: è la pace che si respira nellacomposizione.
Poi c’è il silenzio ovattato della neve che nel suo candore diffonde quiete. E ancora: i silenzi nelle varie situazioni della vita quotidiana e nelle relazioni umane hanno diverse possibilità espressive di cui forse l’occidente deve imparare a riscoprire la ricchezza multiforme. Ad esempio “ascoltare” il silenzio dell’altro quando parlo o porre attenzione ai lunghi silenzi in una conversazione mi consente di interagire in modo migliore.
E c’è persino il momento sublime del silenzio della parola poetica: < Nel ciel che più de la sua luce prende / fu’ io, e vidi cose che ridire / né sa né può chi di là su discende > (Dante, Par I, 4-6).
Ma la situazione più frequente in cui può trovarsi ciascuno di noi che non sia sommo poeta è quella di paura o sconcerto quando è immerso nel silenzio assoluto. Ci sentiamo soli, disarmati, senza appigli, in pericolo, perduti nel vuoto. Silenzio e solitudine ci paiono necessariamente e inscindibilmente congiunti. Allora il silenzio è vissuto e sofferto come vuoto e assenza anche quando ci troviamo in un ambiente popolato di cose a noi familiari o siamo in un luogo ben noto. Ma religione, filosofia, arte, letteratura, musica dimostrano che il silenzio non è assenza di qualcosa, al contrario è un bene irrinunciabile anche come sorgente di creatività; è il fiume in cui naviga il pensiero umano, come sostiene il prof. Stuart Sim in “Manifesto per il silenzio” pubblicato in Inghilterra all’inizio di settembre 2007. 

Parte seconda: silenzio, un appuntamento con se stessi 

Il silenzio ci spaventa, spesso, perché ci mette a nudo di fronte a noi stessi, ci assedia, ci costringe a non fuggire, ci impone di ascoltarci. Esige di lasciar “parlare” la nostra interiorità la cui “voce” può essere flebile o, più spesso, soffocata. Ci chiede la pazienza di ascoltare in modo non consueto, non con le orecchie, certamente. Ci obbliga a cercare la strada per stare bene e sentirci a nostro agio con noi stessi. Nel silenzio non possiamo non assecondare i nostri pensieri, liberare le nostre paure, lasciar fluire le nostre emozioni. E così capiterà che dalla nostra memoria affiori qualche immagine: un sorriso inaspettato su un volto incontrato nel pomeriggio, una stretta di mano, una parola detta con calore , il verso di una poesia, un fiore raccolto lungo il ciglio della strada in primavera, la dolcezza di una tenera frase d’amore, un “grazie” ricevuto ... piccoli gesti, piccoli eventi “inutili” che ci rianimano, ci rafforzano, allontanano da noi l’inquietudine e l’angoscia.
Quando ci si smarrisce, quando si precipita nel labirinto dell’ansia, quando il nostro pensiero si inceppa e ci divora è il momento di fermarsi. Ci si mette seduti o sdraiati in modo che anche il nostro corpo si a disteso e rilassato Ci si crea uno spazio e un tempo di silenzio, uno spazio di otium, un’oasi di pace; si respira profondamente e ci si affida, quasi ci si consegna alle nostre emozioni, per lasciarle emergere, espandere, a volte, esplodere. Forse abbiamo gli occhi chiusi o forse il nostro sguardo fissa la tazza di tè che abbiamo appena appoggiato sulla mensola, ma non la vediamo perché la nostra mente è concentrata su di sé: considera degne di esistere e quindi dà spazio ed accoglie voci, suoni e immagini della nostra interiorità e del sentire profondo. Il nostro io dialoga con se stesso, esplora, domanda, dà risposte in un fluire incessante ed armonioso o tormentato di pensieri che ci fanno vivere profondamente le più diverse emozioni. E ci è quasi difficile accettare la tenera commozione che ci invade quando attraversiamo le nostre gioie o le nostre paure, le angosce o la pienezza del vivere e del sentire. Così non vorremmo più risalire nel mondo caotico del frastuono delle nostre città. Vorremmo anche fisicamente forse trasferirci in luoghi silenziosi, dove i rumori sono soltanto le voci della natura: su una spiaggia deserta lambita dalle onde del mare, in un fitto bosco in cui filtra tra i rami la luce del sole, alle soglie di un nevaio, in un giardini fiorito. 
Dobbiamo conquistare tempi e spazi di silenzio per lasciarci penetrare e invadere da tutta la sua potenza espressiva e la sua carica comunicativa. Dobbiamo approdare alle spiagge del silenzio per godere della forza interiore, dell’immensità e del mistero che da esso emana. Il silenzio è il luogo della coscienza profonda, è il contatto con il fondo dell’abisso insondabile della persona, è la vera forza attiva che ci conduce alla radice dei significati, all’essenziale, al fondamento delle cose e ci fa ritrovare noi stessi. È necessario imparare a coltivare e valorizzare l’esperienza del silenzio come serenità e quiete psichica. Occorre educarci alla capacità di fare silenzio; è importante conoscerlo, apprezzarlo, stringere un’amicizia affettuosa con il silenzio, perché quest’ultimo non è né antipatico, né fastidioso e neppure nemico della parola. Dobbiamo forse imparare anche a godere del silenzio, ad assaporarlo e gustarlo come un buon cibo non soltanto per evitare i danni alla nostra salute provocati da eccesso di rumori, come aggressività, ipertensione, stress, disturbi cardiaci. Il silenzio è simpatico, ci consente di dimorare presso di noi, di sostare in compagnia con noi stessi, di stare bene, di sentirci a nostro agio, in armonia e in dialogo con la nostra interiorità, sicuri che < il silenzio è come l’utero dove germoglia la parola autentica, vera, essenziale e dove il dialogo trova la sua matrice originaria > (E. Bianchi). 

Nadia Burzio

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