mercoledì 7 maggio 2014

DEL PRENDERSI CURA

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose.
Riprendiamo il nostro discorso per occuparci del prenderci cura. Perché prenderci cura dell’umano? “Perché da noi – dicevamo – che stiamo bene e siamo ricchi, l’umano è sfruttato, è usato, è maneggiato, ma non sembra realmente amato. Figuriamoci altrove, dove è preso a cannonate.” Ci prendiamo cura di ciò che amiamo, prendersi cura è contiguo all'amore.
Prenderci cura dell’umano significa prenderci cura delle Persone, che sono l’umano nel suo aspetto di relazione, di comunità sociale. Significa ricordare sempre che tu, tu che sei la presenza più immediatamente vicina a me, come ognuno di noi porti sempre con te nel tuo vivere un nucleo di sofferenza. O no? Un lungo cammino conduce tutti noi dal nascere quali inermi esseri umani all’Essere Umano nella pienezza della sua manifestazione. È un cammino complesso, talvolta molto accidentato, tortuoso, per lo più segnato dalla sofferenza. Nei casi più drammatici la grande sofferenza mentale ci mostra per quali nodi essenziali ciascuno di noi riesce (o non riesce) ad accedere alla pienezza della Persona, riesce (o non riesce) a sentirsi Persona nella comunità delle Persone, riesce (o non riesce) a sentirsi autore dei propri atti, origine del proprio sentire, responsabile delle proprie scelte. Prendersi cura della grande sofferenza mentale è compito di responsabilità profonda, è insegnamento per il prendersi cura di qualsiasi altra modalità di sofferenza, che poi, come ti dicevo, sempre al suo culmine sconfina in quella. Non diciamo forse in certi terribili momenti sto male da impazzire?
La grande sofferenza mentale ci mostra in profondità e in trasparenza la natura del nostro stesso vivere. A rammentarla tocchiamo con mano la fragilità della condizione umana, della nostra condizione, essa ci insegna cose profonde sulle “normali” relazioni fra Persone. Sapersi avvicinare senza paura e con amore alla follia ci apre a una insostituibile pienezza del quotidiano vivere insieme fra noi, ha una profonda valenza politica: proprio così, politica, se la politica è l'arte del vivere insieme fra Persone nella comunità sociale.
Per noi curare – ti dicevo – è diventato oggi somministrare: aziendale, tecnologico e burocratico, per carità indispensabile, come faremmo senza? Ma in questo curare non c’è chi veramente si prende cura di noi con sollecitudine, diligenza, affetto, premura, attenzione … non c'è chi tiene a noi. Non ci sentiamo accolti, quando siamo trattati come casi e ignorati nella nostra essenza di Persone. Efficienza ed esigenze di bilancio fanno in fretta a spazzare via cortesia e affetti del cuore, ma senza queste cose perdiamo di vista l’umano e la sua bellezza. Perché solo ciò di cui ci prendiamo cura ci regala la sua bellezza. Curare è una cosa, altra cosa è prendersi cura. Almeno per noi, adesso. Sai, quando sono un po' confuso, quando non capisco bene le cose, cerco sul dizionario il significato delle parole. Lo sai cosa voleva dire in origine terapia? Voleva dire servizio. Cura era la stessa cosa di servizio. Chi curava, era al servizio del malato. Terapeutico poi, significava atto a servire, addirittura, pensa un po’, atto a servire gli dei. Ma le cose sono andate diversamente: adesso le prescrizioni del medico per me sofferente sono ordini. Lui mi prescrive cosa fare, in buona sostanza mi dà ordini che io, sempre sotto la pistola puntata della sofferenza, sono ben contento di eseguire, e quindi obbedisco. Il suo potere sul corpo è enorme, ma quel corpo sono io, quindi enorme è il suo potere su di me. Lui d'altronde è così abituato a sentire la sua parola ascoltata, seguita, talvolta riverita – cosa non può fare di noi la sofferenza! – che magari la sua voce si incrina leggermente, accenna a spazientirsi se gli chiedo qualche spiegazione o gli esprimo qualche dubbio. E io taccio all’istante, braccato come sono dal dolore, sto già tanto male, non posso mica turbarlo e perdere il suo favore, la fine della mia sofferenza dipende da lui. Non succede sempre, certo, ma qualche volta sì, e qualche volta forse è già troppo. Questo sarebbe un servire? Qualcosa deve essere andato storto, da un po' di tempo a questa parte, per questo oggi è necessario distinguere fra cura e prendersi cura. Che tu ti prendi cura di me è diverso, significa un’altra cosa: significa che ti accosti alla totalità della mia Persona, che mi senti in quanto Persona, che accogli la mia presenza nel tuo divenire psichico e attraverso di lei ti scopri a te stesso. Significa che tu consenti alla mia presenza di alimentare il tuo venire al mondo con il nuovo che io porto sempre in dono per te. L'incontro fra noi trasforma tanto me quanto te e solo se ne usciamo intimamente trasformati noi ci siamo incontrati realmente, come d'altronde accade in qualunque autentico incontrarsi nella vita. Incontrarti nel mio prendermi cura di te ci conduce, tutti e due noi, verso un reciproco più profondo esserci, mio e tuo, nella nostra più intima presenza, mia e tua. Tu ti sei davvero preso cura di me quando, avendo il calore e la luce della tua presenza liberato il mio divenire incagliato, poi te ne torni a casa più liberato nel tuo, perché il tuo gesto d’amore benefica tanto te quanto me, mai soltanto me. Ricordi? La grande sofferenza mentale è malattia sui generis, e quindi anche la guarigione è guarigione sui generis. Guarire dal male mentale non è tornare a essere ciò che si era prima della malattia: è arrivare a essere finalmente ciò che mai si era riusciti a essere prima. E se io riesco con la mia presenza ad aiutarti a conquistare un frammento in più del tuo esserci esplorando con te la terra di nessuno del tuo vivere, anch’io me ne torno sempre a casa con qualcosina in più.

Giorgio Moschetti

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