E poi che la sua mano a la mia puose, con lieto volto, ond'io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose. |
Prenderci cura dell’umano
significa prenderci
cura delle Persone, che sono l’umano nel suo aspetto di relazione, di comunità
sociale. Significa ricordare sempre che tu, tu che sei la presenza più
immediatamente vicina a me, come ognuno di noi porti sempre con te nel tuo
vivere un nucleo di sofferenza. O no? Un lungo cammino conduce tutti noi dal
nascere quali inermi esseri umani all’Essere Umano nella pienezza della sua
manifestazione. È un cammino complesso, talvolta molto accidentato, tortuoso,
per lo più segnato dalla sofferenza. Nei casi più drammatici la grande sofferenza
mentale ci mostra per quali nodi essenziali ciascuno di noi riesce (o non riesce)
ad accedere alla pienezza della Persona, riesce (o non riesce) a sentirsi
Persona nella comunità delle Persone, riesce (o non riesce) a sentirsi autore
dei propri atti, origine del proprio sentire, responsabile delle proprie
scelte. Prendersi cura della grande sofferenza mentale è compito di
responsabilità profonda, è insegnamento per il prendersi cura di qualsiasi
altra modalità di sofferenza, che poi, come ti dicevo, sempre al suo culmine sconfina
in quella. Non diciamo forse in certi terribili momenti sto male da impazzire?
La grande sofferenza
mentale ci mostra in profondità e in trasparenza la natura del nostro stesso
vivere. A rammentarla tocchiamo con mano la fragilità della condizione umana,
della nostra condizione, essa ci insegna cose profonde sulle “normali”
relazioni fra Persone. Sapersi avvicinare senza paura e con amore alla follia
ci apre a una insostituibile pienezza del quotidiano vivere insieme fra
noi, ha una profonda valenza politica: proprio così, politica, se la
politica è l'arte del vivere insieme fra Persone nella comunità sociale.
Per noi curare – ti
dicevo – è diventato oggi somministrare: aziendale, tecnologico e burocratico,
per carità indispensabile, come faremmo senza? Ma in questo curare non c’è chi
veramente si prende cura di noi con sollecitudine, diligenza, affetto, premura,
attenzione … non c'è chi tiene a noi. Non ci sentiamo accolti, quando
siamo trattati come casi e ignorati nella nostra essenza di Persone. Efficienza
ed esigenze di bilancio fanno in fretta a spazzare via cortesia e affetti del
cuore, ma senza queste cose perdiamo di vista l’umano e la sua bellezza. Perché
solo ciò di cui ci prendiamo cura ci regala la sua bellezza. Curare è una cosa,
altra cosa è prendersi cura. Almeno per noi, adesso. Sai, quando sono un po'
confuso, quando non capisco bene le cose, cerco sul dizionario il significato
delle parole. Lo sai cosa voleva dire in origine terapia? Voleva dire
servizio. Cura era la stessa cosa di servizio. Chi curava, era al
servizio del malato. Terapeutico poi, significava atto a servire,
addirittura, pensa un po’, atto a servire gli dei. Ma le cose sono andate
diversamente: adesso le prescrizioni del medico per me sofferente sono ordini.
Lui mi prescrive cosa fare, in buona sostanza mi dà ordini che io, sempre sotto
la pistola puntata della sofferenza, sono ben contento di eseguire, e quindi
obbedisco. Il suo potere sul corpo è enorme, ma quel corpo sono io, quindi
enorme è il suo potere su di me. Lui d'altronde è così abituato a sentire la
sua parola ascoltata, seguita, talvolta riverita – cosa non può fare di noi la
sofferenza! – che magari la sua voce si incrina leggermente, accenna a
spazientirsi se gli chiedo qualche spiegazione o gli esprimo qualche dubbio. E io
taccio all’istante, braccato come sono dal dolore, sto già tanto male, non
posso mica turbarlo e perdere il suo favore, la fine della mia sofferenza
dipende da lui. Non succede sempre, certo, ma qualche volta sì, e qualche volta
forse è già troppo. Questo sarebbe un servire? Qualcosa deve
essere andato storto, da un po' di tempo a questa parte, per questo oggi è
necessario distinguere fra cura e prendersi cura. Che tu ti prendi cura di me è
diverso, significa un’altra cosa: significa che ti accosti alla totalità della
mia Persona, che mi senti in quanto Persona, che accogli la mia presenza
nel tuo divenire psichico e attraverso di lei ti scopri a te stesso. Significa
che tu consenti alla mia presenza di alimentare il tuo venire al mondo con il
nuovo che io porto sempre in dono per te. L'incontro fra noi trasforma tanto me
quanto te e solo se ne usciamo intimamente trasformati noi ci siamo incontrati
realmente, come d'altronde accade in qualunque autentico incontrarsi nella
vita. Incontrarti nel mio prendermi cura di te ci conduce, tutti e due noi,
verso un reciproco più profondo esserci, mio e tuo, nella nostra più intima
presenza, mia e tua. Tu ti sei davvero preso cura di me quando, avendo il
calore e la luce della tua presenza liberato il mio divenire incagliato, poi te
ne torni a casa più liberato nel tuo, perché il tuo gesto d’amore benefica
tanto te quanto me, mai soltanto me. Ricordi? La grande sofferenza mentale è
malattia sui generis, e quindi anche la guarigione è guarigione sui generis.
Guarire dal male mentale non è tornare a essere ciò che si era prima della
malattia: è arrivare a essere finalmente ciò che mai si era riusciti a essere
prima. E se io riesco con la mia presenza ad aiutarti a conquistare un frammento
in più del tuo esserci esplorando con te la terra di nessuno del tuo vivere, anch’io
me ne torno sempre a casa con qualcosina in più.
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