venerdì 29 agosto 2014

COSI' FAN TUTTE di Wolfgang Amadeus Mozart

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose

L'Associazione Cura e Cultura 

organizza, nell'autunno 2014, due seminari introduttivi all'opera lirica 

"COSI' FAN TUTTE" 
di Wolfgang Amadeus Mozart 

e la successiva visione dell'intero spettacolo. 

Per l'intera manifestazione verranno utilizzate diverse versioni dell'opera tutte di alto profilo culturale. Durante i seminari verrà letto e analizzato il libretto e le arie di maggiore rilievo dell'opera.

I seminari si svolgeranno presso Casa Iorio, corso Vercelli 258 a Ivrea (TO) nei giorni:
28 settembre 2014 - ore 14.00-18.00
26 ottobre 2014 - ore 14.00-18.00

La visione completa dell'opera avverrà, sempre a Casa Iorio,  il
23 novembre 2014 - primo atto ore 10.00-12.00, secondo atto ore 14.30-17.00

(l'Associazione organizzerà, per il giorno 23 novembre; anche un pranzo a prezzo agevolato in un ristorante nei pressi di Casa Iorio

Il costo dei due seminari più la visione completa dell'opera è di 70€. Per chi non l'avesse ancora pagata, occorre aggiungere la quota associativa 2014 di 50€

Per info e prenotazioni telefonare al 3389685286 o scrivere a curaecultura@gmail.com


mercoledì 27 agosto 2014

UNICITA' E PRIMATO: NON CONFONDIAMO PER FAVORE...

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Cara lettrice, caro lettore, vorrei iniziare questo nostro piccolo dialogo dicendovi prima di tutto chi sono e su cosa cercherò di riflettere insieme a voi. Sto per laurearmi in psicologia: da una parte sono contenta del compito che mi viene affidato, scrivere questo articolo, ma dall'altra sono anche un po' preoccupata, per la mia giovane età, per la mia poca esperienza nello scrivere, soprattutto su un tema così importante, per me e credo anche per te, quale l'unicità della Persona, di ciascuno di noi.
Cercherò quindi di esporti i miei pensieri, nella speranza che siano anche un po' i tuoi e che suscitino in te qualche emozione e, perché no? il desiderio di rispondere a queste mie righe.
Sai, la prima cosa che mi viene in mente quando mi trovo a riflettere sull'unicità, sull'essere unici - proprio esattamente come me non c'è nessuno, ma neanche esattamente come te, possiamo qualche volta somigliarci tanto ed essere anche gemelli, ma tu guardi sempre il mondo da un punto diverso dal mio e in quel punto ci sei solo tu, quel punto sei tu e nessun altro può occuparlo - scusami il lungo inciso: ti dicevo, la prima cosa che mi viene in mente, quando penso all'unicità, è il momento "magico" della nascita. Nascendo, siamo subito di fronte alla prima esperienza di unicità, occupiamo un piccolo posto nel mondo, in quel posto e a quell'ora, che nessun altro occuperà mai più in futuro e non ha neppure mai occupato in passato.
Sembra una cosa ovvia, no? persino banale, ma non ti sembra lo stesso stupefacente?
Non nascerà mai più una Persona come te: con i tuoi tratti, il tuo temperamento, il tuo carattere bello o brutto che sia, le tue particolarità, le tue tenerezze, le tue simpatie e antipatie, i tuoi slanci, le tue tristezze. Tu eri unico già allora, quando venisti al mondo, anche senza aver ancora compiuto alcuna impresa memorabile e neppure banale.
Ovviamente la tua unicità non si limita al nascere - sembra proprio che non sia un fatto tanto raro ed esclusivo, nascere - ma, ti ripeto, da quel posto, a quell'ora, comincia qualcosa che premerà dentro di te per tutta la vita e ti costringerà, volente o nolente a essere, anzi a diventare quello che sei nel tuo particolare modo di essere, di esprimerti, di ricercarti e di trovarti, così caratteristico, così diverso da quello di chiunque altro.
Comincia qualcosa, in quel posto e a quell'ora, di unico e prezioso, che però, attenzione, è destinato a scomparire e anche a morire senza un TU che lo riconosca per quello che è, che gli dica "questo sei tu!".
Come afferma Jessica Benjamin (1995), senza il riconoscimento dell'altro noi non potremmo mai, non solo essere, ma neppure sentirci noi stessi. L'autrice lo dice riferendosi alla prima relazione intima della nostra vita, quella con la madre e ricordando l'importanza estrema che essa svolge per il nostro sviluppo e la nostra sicurezza. Penso a due modi dell'amore già presenti in questa relazione primaria e che potranno ripresentarsi in quelle future: una mamma guarda il suo bimbo, lo riconosce e lo ama per quello che è, perché è lui; oppure una mamma elogia e gratifica il suo bambino quando questi supera se stesso e compie qualche impresa particolare. La mamma del "ti amo perché ci sei", e la mamma del "ti amo per quello che fai". Si tratta di forme d'amore complementari, entrambe necessarie, ma che devono essere presenti in un delicato equilibrio, senza che nessuna delle due soffochi l'altra: certo, l'aspetto volto al rinforzare e all'incentivare il bambino a fare del suo meglio è importante e deve essere presente nella relazione. Ma se è eccessivo, se spinge soltanto alla competizione, se spinge soprattutto a vincere contro l'altro (e quindi a combatterlo!), se fa dimenticare l'importanza del cooperare fa anche dimenticare che l'altro, il tu, è aspetto fondante della mia stessa identità. Allora i pericoli sono grandi: rischiamo di cadere in una frequente confusione, quella di associare l'unicità di una Persona al primato che essa ha in un determinato ambito (quante volte sentiamo dire "sei unico" riferito ad una particolare dote canora, calcistica.). Ma la nostra unicità è una questione di qualità, siamo unici per l'irripetibile combinazione di qualità che ci caratterizza, mentre il primato è questione di quantità. È ben diverso sentirsi unici per ciò che siamo dal sentirci unici quando siamo in cima alla classifica e abbia vinto sull'altro.
Ma come fa l'altro, il tu, a essere specchio fondante della mia identità se lo vedo sempre solo nell'ottica del vincere-perdere, del primato a tutti i costi, della competizione? Noi non possiamo fare a meno dello sguardo degli altri, del loro punto di vista. Ciascuno di noi, tu, io, lui è un balcone sull'universo, ci rivolgiamo agli altri, interagiamo continuamente con loro e ne abbiamo bisogno, abbiamo bisogno di tutti gli altri balconi per poter crescere ed esprimerci, ognuno ci è prezioso per allargare il nostro punto di vista e vedere ciò che da soli non possiamo vedere. Il mio punto di vista, ciò che vedo da quel balcone è un piccolo settore, e io non vedo quello che vedi tu e il tuo punto di vista, sicuramente diverso dal mio, mi è unico, prezioso e mi arricchisce.
Unicità non significa primato, neppure perfezione. Significa singolarissima combinazione di qualità, intrinseca in ognuno di noi, significa firma di un particolare modo di essere e di stare al mondo, che non ha eguali. Dell'essere tu, lettrice o lettore, ce n'è proprio solo uno al mondo e se lo dimentichi, se dimentichi il tuo valore, il tuo sconfinato valore, la tua vita appassisce! Spero di aver mosso qualcosa dentro di te e sarei proprio contenta di ricevere poche righe (o tante, se vuoi) per sapere come la pensi tu al riguardo. Per tutto l'articolo mi hai sentito parlare dell'importanza dell'altro e del suo punto di vista per completare il nostro. Quindi ora ti invito a farlo, per completare il mio. Se ti va, ovviamente!

Tamara Da Canal e Giorgio Moschetti

mercoledì 23 luglio 2014

NOI SIAMO LA NOSTRA STORIA

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Forse questo titolo ti fa pensare alla storia in senso scolastico, a date, a battaglie, ad avvenimenti in genere. Nel nostro pensiero questa è una delle tante storie anzi, forse, è la storia con la “S” maiuscola, quella che di solito scrivono i vincitori riportata nei libri che studiamo a scuola. Fondamentale certo per capire la cornice del tempo in cui viviamo, certo, chi siamo e dove siamo collocati. Questa storia è la nostra memoria, ma non è la sola. Caro lettore, hai mai riflettuto sul fatto che anche tu, come ogni essere umano, hai una storia di cui sei parte, fatta di luoghi, immagini, ricordi, persone e sentimenti?
Ma quando, ma come nascono la tua, la mia, le nostre storie personali?
La nostra storia comincia nel momento in cui diventiamo un progetto nella mente di qualcuno: da lì parte il tutto, la ricerca della nostra presenza o il prendere atto che già ci siamo senza essere stati così coscientemente pensati. Questo è già parte di noi, del modo in cui le persone pensano a noi prima ancora della nostra presenza fisica nel mondo.
E come?
Questo è il nostro primo bivio, quello che dà una prima direzione alla nostra esistenza: possiamo essere il figlio desiderato dopo tanti anni, l’ultimo figlio di una famiglia numerosa, possiamo essere il maschio - la femmina che tutti aspettavano o meno, possiamo essere sani o avere un problema fisico, possiamo essere una sorpresa fatta di meraviglia, stupore, ma anche di dolore e sofferenza.
Venire a conoscenza del come siamo stati pensati corrisponde già ad un primo passo in una delle innumerevoli possibili direzioni della nostra storia.
Chi scrive la nostra storia?
All’inizio della nostra esistenza, lo dicevamo poco fa, ciascuno di noi a seconda della sua sensibilità può collocare il caso, o la natura, o una volontà divina (qualunque nome noi le diamo), o altro ancora. Noi pensiamo che sia come lo scrittore che intinge la penna nell’inchiostro e traccia il primo segno.
Ma chi dà un senso a ciò che è stato scritto e continua a tracciare altri segni?
Certo è molto semplice pensare che sia lo stesso scrittore iniziale a proseguire il proprio lavoro e che quindi tutto dipenda da lui, senza volontarie interferenze da parte di nessuno. Ma allora, caro lettore, se è tutto già immutabilmente predeterminato, che ce ne facciamo della mia e della tua volontà, della nostra capacità di decisione, del nostro libero arbitrio? Sono solo pallide illusioni o esistono veramente?
Noi crediamo che esistano e che siano fondamentali. Hermann Hesse scrisse: “Il destino non viene… da una sola direzione, ma cresce dentro di noi”. E qui che il nostro libero arbitrio, la nostra capacità di scelta, il nostro muoverci nel mondo acquistano significato. Dopo quel primo segno tracciato, siamo noi che dobbiamo prendere in mano la penna e continuare a scrivere la nostra storia, responsabilmente, consapevoli anche degli inevitabili errori che sicuramente sono parte del nostro cammino.
Che senso ha nella nostra vita conoscere la nostra storia?
Riflettere sulla nostra storia, ci aiuta a darle un significato, una direzione, a sapere chi siamo e dove vogliamo andare, a diventare non solo attori di una parte pensata da altri, ma scrittori, registi e protagonisti della nostra esistenza, diventando autentici artefici del nostro destino.
È veramente triste interpretare come semplici “attori” una vita scritta da altri: è vero, ci solleva da tante responsabilità, ma ci lascia uomini internamente piccoli. Il fatto, caro lettore, è che se anche tutto ciò richiede fatica e impegno è tuttavia la sola, proprio l'unica chiave per aprire la porta a un vivere pieno di significati.
Siamo parte della nostra storia o è lei che è parte di noi?
La domanda è pretestuosa: in realtà solo l’integrazione di queste due parti ci aiuta ad aprire quella porta, solo il loro completarsi, il loro fondersi diventando un tutto ci permette di crescere e vivere come esseri umani veramente completi. Noi pensiamo che proprio questa sia la vera responsabilità di ognuno di noi: il cercare il senso, il chiedersi il perché e non accontentarsi di risposte facili e già preconfezionate da altri. Vivere la nostra storia è esserci al completo con la mente, con il cuore e con l’anima.
Forse aveva avuto la giusta intuizione Oliver Wendell Holmes quando affermò che … “La vita è come dipingere un quadro, non come tirare una somma!”.



Giuseppe Cappuccio, Elena Iorio

mercoledì 9 luglio 2014

PERSONA E CORPO

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Caro lettore, oggi ci ritroviamo per riflettere su un argomento molto importante: il corpo, che in primo luogo è sempre il nostro corpo. Che cosa rappresenta per noi il corpo? Non è soltanto un oggetto tramite il quale abitiamo questo mondo, ma è la parte di noi che collega la nostra psiche al mondo stesso. Purtroppo nelle società occidentali siamo soliti suddividere nettamente la mente dal corpo come fossero due aspetti distinti e non piuttosto modalità diverse con cui la stessa realtà si manifesta. Questa tendenza trova origini antiche sin dalla filosofia cartesiana, è profondamente radicata nella nostra società, ma questa separazione non trova alcun riscontro nella nostra realtà vissuta.

Lettore caro, pensa per esempio a quando stai vivendo un’emozione, a quando sei felice oppure arrabbiato. L’emozione è un profondo movimento psichico che produce cambiamenti corporei evidenti, per esempio l’aumento del battito cardiaco, della sudorazione e del rossore in viso. Questi cambiamenti corporei trovano origine nella psiche e quindi non riescono più di tanto a essere controllati. Ti è mai capitato di parlare in pubblico o di fronte a un gruppo di persone? Pur riuscendo a controllare il messaggio da trasmettere non riuscirai a impedire più di tanto che le tue emozioni si manifestino nel corpo. Il corpo è quindi il luogo di quel sentire che tutti i giorni sperimenti nelle situazioni di vita più disparate.

Prestando più attenzione ai messaggi del corpo, possiamo essere più consapevoli del rapporto che abbiamo con esso. Nella quotidianità parliamo spesso del corpo, ma siamo ossessionati dai modelli di bellezza corporea che ci vengono propinati dalla televisione e dalle riviste patinate. L’esagerata attenzione al corpo ci porta addirittura a modificarlo utilizzando strumenti offerti dal mercato e volti a rimuoverne i difetti, creme dell’eterna giovinezza, abbronzature artificiali e interventi estetici. Ma cambiare il corpo per conferirgli un’immagine migliore non è sufficiente a raggiungere il benessere: molto spesso alcune di queste pratiche risultano deludenti. Il bisturi della chirurgia estetica non scaccia le nostre preoccupazioni circa i difetti corporei e non rappresenta la chiave della felicità, anche perché i cosiddetti difetti corporei, tranne alcuni casi di per sé evidenti, non sono difetti del corpo, ma sono il modo in cui ci accorgiamo che non ci accettiamo come Persone. E allora il punto non è spegnere il campanello d'allarme del difetto corporeo con il bisturi, bensì imparare ad accettarci nella nostra totalità, imparare ad accettarci come un dono prezioso così come siamo.

Caro lettore, ma perché modificare il tuo corpo che è unico e prezioso come sei unico e prezioso tu? Il tuo corpo si riveste ogni giorno di nuovi significati, a partire dalla nascita, quando gli adulti che ti attorniavano erano soliti ricercare le somiglianze con i genitori e con i parenti. Il nascituro è un essere unico, ma quanto già portatore di somiglianze! Nella crescita il corpo cambierà, eccome: ci saranno sicuramente cambiamenti dolorosi, altri ti porteranno serenità, altri ancora avranno entrambi i risvolti. Nel continuo cambiamento del tuo corpo potrai seguire il cambiamento della tua anima, pur continuando tu sempre a sentirti te stesso. Per questo è importante che tu sappia gioire della tua crescita e anche del tuo invecchiamento poiché le tue rughe e i tuoi capelli bianchi sono portatori dell’esperienza che hai maturato negli anni come Persona che è vissuta in questo mondo.

Il corpo ci parla, e le sue parole sono utili per comprendere che qualcosa non sta andando per il verso giusto, per questo è importante non ignorarle. Spesso il dolore corporeo, a meno che non si imponga da solo, è sottovalutato, abbiamo tanto da fare, gli impegni quotidiani, la famiglia, il lavoro, lo studio... Se stiamo bene poi viviamo con la convinzione, più o meno consapevole, che certe malattie capitino soltanto agli altri, a noi non capiteranno mai! E quando invece ci capitano – perché ci capitano, no? – ci sembra di essere stati traditi, che il corpo ci abbia tradito. Sempre percepiamo una brusca interruzione della nostra vita, al centro della quale si situa ora improvvisamente la malattia.

La malattia come prova per eccellenza, come verifica radicale della Persona sui grandi temi del vivere e del morire: il corpo ci parla, e ci parla sempre, anche se le sue parole possono essere tremendamente difficili da ascoltare. La sofferenza tuttavia acuisce lo sguardo e ognuno di noi ha qualcosa da dire al proposito, qualche esperienza che l'ha segnato e che gli ha insegnato. Tu, caro lettore, vuoi farci dono della Tua testimonianza scrivendoci su questi temi? Le Tue parole daranno un senso alla nostra riflessione e ci incoraggeranno a proseguire.


Elisa Vigna

mercoledì 25 giugno 2014

IL BELLO NEI GIORNI

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Ci fa bene tenere bello il luogo dove riposa chi si è amato tanto. È vero, rimane solo quello da fare, ma non è poco. E ne abbiamo bisogno, di quei pochi gesti, anche se l'andare in quel luogo è desiderato quasi lietamente, quasi ci si avvicinasse così a chi non è più qui con noi o lo è come non era mai stato prima, e il tornarne è sempre greve e le gambe pesano assai più al risalire quelle scale dopo quei pochi gesti che non al discenderle prima. Pure ci fa bene farli, quei pochi gesti, raccogliere qualche foglia secca, ridare delicatamente forma ai fiori scompigliati dal vento, dare un po' d'acqua, perché quel luogo sia ben tenuto, sia bello, sia in ordine. Non ci rimane che quello da fare, ma non è poco.

Tanto ci fa bene la bellezza, tanto cura le peggiori sofferenze, gli strazi senza nome. Perché bellezza e amore sono sempre inscindibilmente connessi, quale che sia la bellezza, quella che noi sappiamo offrire, con i nostri poveri mezzi. Una chiama l'altro, uno chiama l'altra: la bellezza ci risveglia alla capacità di amare, tante volte inoperosa, lasciata languire mentre il mondo diventa grigio, ci ricorda che nonostante tutto siamo sempre capaci di amare. E l'amore a sua volta introduce la bellezza nel mondo, lo riveste di bellezza e di splendore, lo rende bello e trasparente.

Questo può accadere in qualsiasi momento, caro lettore, nel piccolo delle nostre giornate, nelle nostre piccole case. Perché il bello salva, diceva Roberta De Monticelli, ma per accorgersene bisogna aver sofferto. E tu, lettore, hai mai sofferto?

Perché il bello ci salvi, perché lenisca la nostre sofferenze, occorre però che già abiti dentro di noi, anche se poco, anche se solo nella forma di vaga nostalgia – ah, poter conservare a memoria le poesie, permettere loro di irraggiare bellezza per tutta la vita dall'intimo della nostra mente ... Solo se ha nidificato inavvertito nei riposti anfratti dell'anima sappiamo riconoscere il bello quando ci sfiora durante le giornate, cosa che sempre fa nonostante i nostri occhi opachi e distratti. E perché abiti dentro di noi, occorre che noi ce lo propiziamo, che lo pensiamo, che lo rincorriamo spendendo qualche energia in suo onore. Lo possiamo fare sempre, questo sacrificio (sacrificio = fare sacro, una volta aveva una connotazione gioiosa, scegliere un dono è una gioia di per sé). Non è tanto lontano, il bello, non appartiene soltanto ai musei o alle sale da concerto, né tanto meno soltanto al lusso: ormai poi quel bello, dico quello della grande arte, ce l'abbiamo a disposizione come mai in precedenza, i mezzi di comunicazione, di riproduzione... Una volta si doveva viaggiare a lungo per raggiungerlo, Bach andò a piedi a conoscere e sentire il grande maestro Buxtehude da Arnstadt a Lubecca (circa 400 km...). Lo si raggiungeva con fatica e certo questo aiutava a goderne assai più e con maggiore profondità, come di tutte le cose condite dal sudore. Adesso è a portata di mano e rischia di passarci davanti agli occhi inavvertito. Pure c'è, è lì che occhieggia in qualunque edicola per strada.

Pure, portare la grande arte nel quotidiano delle nostre case ha senso solo se sappiamo rintracciarne le radici in ogni nostro piccolo fare quotidiano, solo se riusciamo a riconoscere che essa ci riguarda sempre personalmente, che ci aiuta a ritrovarci, a capire chi siamo, come siamo fatti. Essa continua a parlarci, incurante del tempo e dello spazio, in attesa che riusciamo a prestarle ascolto e a permetterle di agire su di noi. Non dobbiamo lasciarcene intimidire e soprattutto non dobbiamo relegarla, insieme alla bellezza, nel lusso. È arte grande proprio perché parla di tutti noi, delle nostre vite. Io credo che qualcosa sempre accomuni i grandi capolavori e i piccoli nostri gesti di ogni istante. Lo so, una grande distanza mi separa da Mozart o da Dante, ma sono molto più le cose che abbiamo in comune fra noi in quanto esseri umani, che non quelle che ci separano. Perché i grandi capolavori non sono prodotti da marziani, da gente che appartiene a un altro mondo: sono le parole di gente di questo mondo, lo stesso nostro, gente come noi che però ha amato, amato tanto, assai più forse di quanto siamo capaci noi con la nostra paura, che ha saputo darsi con tenacia e fermezza e pienezza a ciò che amava. Ognuno di loro ha da insegnarci qualcosa. Mozart, Beethoven, Michelangelo, per dirne solo alcuni: il loro fare è un continuo richiamarci, anche severo, è un continuo prenderci per il bavero e ricordarci pressante ma stai vivendo davvero, o dormi? o fai solo finta di vivere? Perché se vivi sul serio devi poter vedere e godere di ciò che ti ho donato a costo della mia vita.

Ogni grande opera d’arte è un dono che ci avvicina alla pienezza del vivere. Ma anche ogni piccolo lavoro ben fatto in casa nostra è un dono, purché ben fatto, fatto con dedizione, con amore, con tenacia, è un dono a chi ci sta intorno, al mondo intero. Ognuno di noi può nei suoi piccoli lavori avere presente Mozart, la grazia, la tenerezza, la delicatezza. La più umile, semplice e banale cosa, se fatta con dedizione e amore, è un dono prezioso. E qualunque cosa facciamo è alla fine sempre destinata a un altro, da un cuore può andare a un altro cuore. Beethoven, sordo e considerato un po’ matto alla fine della sua vita, anche un po’ troppo confidente con il vino, oltre ad alcuni dei più enigmatici interrogativi posti alla mente umana in ogni tempo (le ultime fughe ...) produsse la quintessenza della tenerezza nelle sue ultime sonate, negli ultimi quartetti.

L’artista non è un tipo speciale di uomo, ma ognuno di noi è un tipo speciale di artista.


Giorgio Moschetti

mercoledì 11 giugno 2014

LA FELICITA' DEL NUOVO

E poi che la sua mano a la mia puose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
Un po’ titubante inizio a scrivere questo articolo: sono una giovane laureanda in psicologia cui è stato chiesto, caro lettore, di condividere con te alcune riflessioni ed emozioni. Se da un lato i timori di non riuscire nel mio intento non mi abbandonano, dall’altro sento il forte desiderio di affrontare con te questa nuova esperienza. Perché questo mio desiderio di riflettere sul nuovo? Forse per i cambiamenti, inevitabili portatori di gioia e sofferenza, che soprattutto in questo periodo mi trovo ad affrontare?

Nascere, crescere… invecchiare: è un lungo tragitto. E sappiamo bene quanto in certi casi possa essere faticoso e difficile. Roberta De Monticelli ci ricorda che Agostino per primo pensò il tempo dell’uomo come continua genesi del nuovo. La vita è continuo divenire: un fiume che scorre incessantemente. E il nuovo è ciò che sempre ci si pone davanti, accogliente o minaccioso: quel masso più o meno grande a cui possiamo permettere di bloccarci, oppure che possiamo scegliere di aggirare, di spostare o di saltare. Qualche volta il nuovo ci sembra un ostacolo, qualche volta un dono, qualche volta entrambe le cose.

Certo ogni tanto siamo tentati di rifiutarlo, il nuovo. Certo è una soluzione che desta meno terrore di altre, che spaventa di meno, che sembra tranquillizzarci. Ma questo non vuol dire che faccia soffrire di meno: al di là delle apparenze immediate otteniamo solo dei falsi vantaggi. Perché accogliere il nuovo significa metterci in gioco, e questo ci può costare caro, significa lasciare la strada vecchia per la nuova, e questo è un rischio che tante volte abbiamo paura di correre: d'altronde il fiume della vita nel suo fluire, incurante delle nostre scelte arriverà al mare, quella sarà la meta. Che senso ha, dunque, parlare di felicità del nuovo, se il nuovo ci fa anche soffrire? Non dovrei parlare solo dei suoi aspetti positivi? Un passo alla volta: prima della fine di questo breve articolo spero di riuscire a spiegare cosa intendo.

Cosa ti viene in mente, caro lettore, pensando al nuovo? Io mi ritrovo a pensare a quello che per me è il nuovo per eccellenza: la Nascita. Al momento dell’entrata nel mondo tutto è nuovo come non possiamo neanche immaginarci. E infatti la nascita è anche la prima esperienza di angoscia: dover respirare per la prima volta, per la prima volta non essere più un’unica cosa con la mamma ... Quanti forti rumori che spaventano e che avevamo sempre sentito così lontani e ovattati! E pensa alle madri: se possono ben descrivere la felicità del mettere al mondo, allo stesso tempo ne conoscono bene la sofferenza.
Ma il nuovo ci viene incontro anche nei diversi ruoli che ci tocca assumere nel nostro vivere. Pensa ai nuovi contesti a cui spesso dobbiamo adattarci, ai cambiamenti nel lavoro, spesso accolti con timore, magari mescolato a curiosità.

Ma questo nuovo, di cui sto parlando, non è solo là fuori, non è solo la varietà e novità del mondo esterno. È anche quel divenire psichico che è dentro ognuno di noi, nel nostro mondo interiore: il nuovo viene anche da dentro, dai nostri sogni di ogni notte! Nel divenire psichico ci sono infatti i tratti di quello che saremo domani. Se appena gli diamo un po' di attenzione, il divenire psichico dentro di noi ci apre tutto il ventaglio delle nostre possibilità future e per questo possiamo vedere nel nuovo una risorsa, una ricchezza. Mille volte abbiamo guardato quella persona, e a un certo punto ci appare improvvisamente in una luce diversa, vediamo cose di lei che avevamo sempre avuto sotto gli occhi ma delle quali non c'eravamo mai accorti! Torniamo a casa dopo una vacanza, e il luogo in cui viviamo ogni giorno, la nostra stessa quotidianità ci appaiono diversi. Questo intendo quando scrivo che il nuovo viene anche da dentro: sono i cambiamenti in noi indotti dalla vacanza a farci scoprire casa nostra come nuova.

Termino con un'ultima considerazione: non dobbiamo porci nei confronti del nuovo in una posizione d’accettazione passiva, non dobbiamo limitarci distrattamente ad aspettare che avvenga. Ricordiamo invece quanto scrisse Agostino d’Ippona.: l’uomo fu creato perché si desse il nuovo. Per accedere alla pienezza della presenza ci è necessario e indispensabile accoglierlo positivamente, il nuovo, e integrarlo in noi stessi. Sta a noi, dipende da noi, riuscire a provare la felicità del nuovo!


Claudia Fè

martedì 3 giugno 2014

CONCERTO DEL CORO DOLCEMENTE E DELL'ENSEMBLE DI NOTABENE




Vi segnalo con molto piacere che, insieme all'Associazione Culturale NOTABENE a.p.s. di Ivrea (www.facebook.com/notabeneivrea), abbiamo organizzato un Concerto Vocale Strumentale che si terrà sabato 7 giugno prossimo presso il salone multiuso di Colleretto Giacosa alle ore 17. Nella prima parte canterà il Gruppo polifonico Dolce Mente (www.curaecultura.com/gruppo%20voce.htm), mentre nella seconda si esibiranno allievi e insegnanti della scuola di musica gestita da NOTABENE.

L’Associazione culturale NOTABENE ha sede in Ivrea ed è guidata da un direttivo di giovani musicisti e insegnanti di musica del Canavese e dei Comuni vicini. Ha attivato in questi anni numerosi corsi di strumento e di teoria musicale con metodi didattici innovativi. NOTABENE, val la pena di sottolinearlo, è anche sede, per gli esami di strumento e di teoria musicale, dell’ASSOCIATED BOARD OF THE ROYAL SCHOOL OF MUSIC (ABRSM), leader mondiale nell’organizzazione di esami musicali e valutazioni a ogni livello (www.abrsm.org). NOTABENE organizza saggi per i suoi allievi, seminari a tema, concerti, serate di videoproiezione e molte iniziative a sfondo culturale e musicale. 

Noi di Cura e Cultura siamo particolarmente lieti di aprire con questo concerto una collaborazione con NOTABENE che speriamo lunga e fruttuosa.