E poi che la sua mano a la mia puose, con lieto volto, ond'io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose |
Un po’ titubante inizio a scrivere
questo articolo: sono una giovane laureanda in psicologia cui è stato chiesto,
caro lettore, di condividere con te alcune riflessioni ed emozioni. Se da un
lato i timori di non riuscire nel mio intento non mi abbandonano, dall’altro
sento il forte desiderio di affrontare con te questa nuova esperienza.
Perché questo mio desiderio di riflettere sul nuovo? Forse per i
cambiamenti, inevitabili portatori di gioia e sofferenza, che soprattutto in
questo periodo mi trovo ad affrontare?
Nascere, crescere… invecchiare: è un
lungo tragitto. E sappiamo bene quanto in certi casi possa essere faticoso e
difficile. Roberta De Monticelli ci ricorda che Agostino per primo pensò il
tempo dell’uomo come continua genesi del nuovo. La vita è continuo
divenire: un fiume che scorre incessantemente. E il nuovo è ciò che
sempre ci si pone davanti, accogliente o minaccioso: quel masso più o meno
grande a cui possiamo permettere di bloccarci, oppure che possiamo scegliere di
aggirare, di spostare o di saltare. Qualche volta il nuovo ci sembra un
ostacolo, qualche volta un dono, qualche volta entrambe le cose.
Certo ogni tanto siamo tentati di
rifiutarlo, il nuovo. Certo è una soluzione che desta meno terrore di
altre, che spaventa di meno, che sembra tranquillizzarci. Ma questo non vuol
dire che faccia soffrire di meno: al di là delle apparenze immediate otteniamo
solo dei falsi vantaggi. Perché accogliere il nuovo significa metterci
in gioco, e questo ci può costare caro, significa lasciare la strada vecchia
per la nuova, e questo è un rischio che tante volte abbiamo paura di correre:
d'altronde il fiume della vita nel suo fluire, incurante delle nostre scelte
arriverà al mare, quella sarà la
meta. Che senso ha, dunque, parlare di felicità del nuovo,
se il nuovo ci fa anche soffrire? Non dovrei parlare solo dei suoi
aspetti positivi? Un passo alla volta: prima della fine di questo breve
articolo spero di riuscire a spiegare cosa intendo.
Cosa ti viene in mente, caro lettore,
pensando al nuovo? Io mi ritrovo a pensare a quello che per me è il nuovo
per eccellenza: la
Nascita. Al momento dell’entrata nel mondo tutto è nuovo
come non possiamo neanche immaginarci. E infatti la nascita è anche la prima
esperienza di angoscia: dover respirare per la prima volta, per la prima volta
non essere più un’unica cosa con la mamma ... Quanti forti rumori che
spaventano e che avevamo sempre sentito così lontani e ovattati! E pensa alle
madri: se possono ben descrivere la felicità del mettere al mondo, allo stesso
tempo ne conoscono bene la sofferenza.
Ma il nuovo ci viene incontro
anche nei diversi ruoli che ci tocca assumere nel nostro vivere. Pensa ai nuovi
contesti a cui spesso dobbiamo adattarci, ai cambiamenti nel lavoro, spesso
accolti con timore, magari mescolato a curiosità.
Ma questo nuovo, di cui sto
parlando, non è solo là fuori, non è solo la varietà e novità del mondo
esterno. È anche quel divenire psichico che è dentro ognuno di noi, nel nostro
mondo interiore: il nuovo viene anche da dentro, dai nostri sogni di
ogni notte! Nel divenire psichico ci sono infatti i tratti di quello che saremo
domani. Se appena gli diamo un po' di attenzione, il divenire psichico dentro
di noi ci apre tutto il ventaglio delle nostre possibilità future e per questo
possiamo vedere nel nuovo una risorsa, una ricchezza. Mille volte
abbiamo guardato quella persona, e a un certo punto ci appare improvvisamente
in una luce diversa, vediamo cose di lei che avevamo sempre avuto sotto gli
occhi ma delle quali non c'eravamo mai accorti! Torniamo a casa dopo una
vacanza, e il luogo in cui viviamo ogni giorno, la nostra stessa quotidianità
ci appaiono diversi. Questo intendo quando scrivo che il nuovo viene
anche da dentro: sono i cambiamenti in noi indotti dalla vacanza a farci
scoprire casa nostra come nuova.
Termino
con un'ultima considerazione: non dobbiamo porci nei confronti del nuovo in una
posizione d’accettazione passiva, non dobbiamo limitarci distrattamente ad
aspettare che avvenga. Ricordiamo invece quanto scrisse Agostino d’Ippona.: l’uomo
fu creato perché si desse il nuovo. Per accedere alla pienezza della
presenza ci è necessario e indispensabile accoglierlo positivamente, il nuovo,
e integrarlo in noi stessi. Sta a noi, dipende da noi, riuscire a provare la
felicità del nuovo!
Claudia Fè
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